Lunedì, 14 Ottobre 2013 | Scritto da: didattica

IL POTERE SOCIEVOLE

Storia e critica dei social media

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Sabato 26 ottobre il castello di Cisterna ha ospitato la presentazione del libro Il potere socievole. Storia e critica dei social media, edito dalla Mondadori, il cui autore, Fausto Colombo, che è intervenuto, è docente di Teoria e tecnica dei media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Franco Mattarella ha brevemente introdotto l’incontro, sottolineando come il volume ponga problemi filosofici interessanti. Non soltanto si argomenta sul potere, ma anche sull’individuo e sulla sfera della sua autonomia. Il testo di Colombo si può considerare complementare con l’opera di Foucault Sorvegliare e punire, che analizza la costruzione del potere disciplinare negli ultimi quattro secoli, la messa a punto, tra il Sedicesimo e il Diciannovesimo secolo, di tutto un insieme di procedure per incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderli docili e utili nello stesso tempo. Il Diciottesimo secolo ha senza dubbio inventato la libertà, ma ha dato agli uomini una base profonda e solida, la società disciplinare, da cui dipendiamo ancora oggi.

Nel XXI secolo i social media sono diventati indispensabili, essenziali nelle nostre vite. Sono duttili: ci permettono di vendere, comprare, comunicare, esprimerci, cercare e diffondere informazioni senza staccare gli occhi da un semplice display. Sono utilizzabili sempre e ovunque: la diffusione dei terminali mobili (smartphone e tablet) ci garantisce uno stato di perenne connessione. Sono amichevoli: generano quella speciale euforia che ci dà la facilità del loro uso. Sono socievoli: permettono le relazioni, anche a distanza. Il libro si interroga sulla seduzione di questi strumenti, sulla loro attraente efficienza, per provare a coglierne anche lati meno ovvi e forse più oscuri. Provengono dal lungo processo della digitalizzazione, certo, ma anche da alcune svolte economiche e di mercato, e da precise filosofie imprenditoriali, di cui sono più o meno consapevoli portatori. E poi, di chi sono i social media, a chi appartengono i loro contenuti? A chi rispondiamo noi, quando li usiamo, o ci esprimiamo attraverso di loro? Quali tipi di conflitti (politici, economici, e anche personali) trovano spazio dentro a questo universo socievole? Si può osservare che, da una ventina d’anni, i soggetti che esercitano il potere sono da un lato le aziende che operano su rete (Google, Yahoo, Facebook per citare i più noti) e, dall’altro gli utenti stessi che hanno conquistato un potere che prima non avevano, quello della sorveglianza: c’è la voglia di controllare e di essere controllati all’interno della propria sfera di amici, soddisfacendo in tal modo un’esigenza che appartiene alla natura umana, quella di essere riconosciuti.

Nella vita quotidiana ormai è diventato comune effettuare accesso ai social network e termini che hanno un determinato significato nel web, sono prepotentemente entrati a far parte del nostro lessico.

Il premio Nobel per la pace del 1961, Dag Hammarskjöl, segretario generale dell’ONU, nella sua opera Tracce di cammino ha dato una definizione molto precisa dell’amicizia:”l’amicizia non ha bisogno di parole: è una solitudine liberata dall’angoscia della solitudine”.

Contrariamente al sentire comune, dal punto di vista psicologico la solitudine è qualcosa di sano, che occorre affrontare per vivere appieno ciò che la vita ci presenta; non tutti però sono in grado di reggerla e sopportarla e pensano di trovare nel mondo virtuale una possibile soluzione. Gli operatori e le grandi aziende in rete sfruttano questa debolezza per motivi economici e politici.

Colombo ha cercato di riassumere i momenti cruciali del dibattito da cui è nato questo libro; tutto lo sviluppo della rete è sempre stato accompagnato da grandi entusiasmi connessi a paralleli momenti di grave crisi. L’invenzione del web, ad opera dagli studiosi dell’Università di Berkeley, ha avuto uno scopo sociale e allo stesso tempo ha determinato la nascita di un nuovo mercato da colonizzare. L’attacco alle Torri Gemelle ha segnato non solo in modo profondo la storia mondiale, ma anche portato alla luce il Web 2.0 grazie a cui l’utente è diventato attivo, inaugurando un territorio in cui liberare potenzialità prima precluse: pubblicare e postare immagini, commenti, emozioni, moltiplicando le relazioni nella vita degli individui.

Tra le sue prerogative rientra accedere ai servizi estremamente personalizzati che vengono offerti, basti pensare ai suggerimenti di amicizia che propone Facebook oppure al fatto che Google in ogni ricerca che si effettui sul motore, tenga sempre presenti quelle precedenti, risparmiando molto tempo, ma contemporaneamente limitando la scelta stessa.

Agli entusiasmi iniziali sono seguite riflessioni e critiche feroci: occorre difendere la nostra intimità o bisogna sempre dichiarare chi si è? Qualcuno sostiene che all’essere trasparenti consegue un comportamento più responsabile, che decade subito non appena si passi all’anonimato.

Il relatore ha citato il caso del blog Nonsolomamma, di Claudia de Lillo, figlia di un grande sociologo italiano. Quando ai suoi spassosi racconti seguono commenti violenti, dapprima tenta di moderare il dibattito, poi banna (ossia cancella, esclude) quei Trolls (metafora per indicare utenti sgradevoli) che hanno espresso pareri aggressivi; e da tale gesto sorge la domanda: è lecito cancellare chi non condivide come la penso? All’affermazione della de Lillo per cui il blog sarebbe la sua traccia, casa sua, viene replicato che non è affatto così, piuttosto può essere avvicinato al balcone di casa sua, nel senso che tutto ciò che vi accade ed è narrato ha la stessa evidenza del bucato steso all’aperto. Nasce una riflessione sul concetto di spazio, laddove i commenti sono pubblici si richiama la responsabilità, l’essere consapevoli che le parole, seppur virtuali suscitano reazioni e risposte, non sempre ben accette. I nostri diritti sono legati alla nostra capacità di prenderci cura degli altri; regola che può apparire banale, ma che sul web si amplifica.

Il beneficio che il web porta alla politica è messo in discussione da molti, le ultime lezioni tenute da Foucault tra 1983 – 84, conservate perché sono state registrate, si chiudono con un frettoloso saluto dell’autore, che dice di non aver tempo e se ne va, era un corso sulla cura di sé e degli altri: siamo sicuri di partecipare in ugual misura al potere comune? Che cosa salva la democrazia se non la responsabilità di essa che noi ci assumiamo?

Il web può servire per avvicinare, ma allo stesso tempo per allontanare. Ci sono esempi evidenti che lotte condotte su terreni virtuali hanno avuto successo, perciò il web può far bene alla democrazia; ma altrettante volte nei commenti ad articoli giornalistici di testate nazionali, gli utenti si abbandonano a commenti terribili; la politica e la vita non sono così, ma richiedono un faticoso lavoro di mediazione. È sufficiente ricordare le colonne umane di bagnanti che sulle coste di Lampedusa hanno aiutato i clandestini a raggiungere la terraferma.

Il potere non è solo dove noi pensiamo che sia, attraversa le nostre vite, scorre nella nostre vene, come ci ha insegnato Foucault. Sentiamo l’esigenza di rimarcare la nostra presenza, di affermare che esistiamo. Nel monitorare si instaura una relazione di potere, ben rappresentata dal Panopticon, il carcere a 360° ideato da Bentham, dove un solo guardiano vede tutti e tutti vedono un solo guardiano. Per Foucault al centro della torre si colloca qualunque cittadino, siamo una società della sorveglianza, ciascuno di noi è un po’ spia e un po’ spiato.

Indubbiamente la rete ci facilita l’accesso ad archivi, la trasmissione di dati e di saperi, è la nostra responsabilità. Il web è il mezzo più umano che ci sia, perché fatto di e da uomini, ma questo non costituisce una garanzia. Dobbiamo esserne consapevoli, altrimenti anziché usare la rete, ne diventeremo strumenti.

Il web dev’essere un luogo che noi costruiamo e non un’utopia, spesso quando queste si realizzano si trasformano nel loro contrario.

Facciamo che la rete sia il luogo abitato dalle nostre migliori risorse e dalla nostra responsabilità etica e soprattutto non dimentichiamo che i rapporti umani, quelli più impegnativi, ma anche quelli che garantiscono le maggiori gratificazioni, possono avvalersi della rete, ma non possono ridursi ad essa, sarebbe negare ciò che ci rende tanto vivi.

Elena Cerruti


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