Giovedì, 9 Ottobre 2014 | Scritto da: didattica

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“RECUPERI – AMO IL SENSO DI APPARTENENZA ALLA COMUNITA’”

1^ INCONTRO DEL POLO CITTATTIVA PER L’ASTIGIANO E L’ALBESE PER L’A.S. ‘14/’15

Martedì 14 ottobre 2014,  presso il Museo Arti e Mestieri di un Tempo di Cisterna d’Asti, sono ripresi gli incontri promossi dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I. C. di San Damiano d’Asti. Il Polo Cittattiva,  al suo settimo anno di attività, nonostante l’ormai cronica carenza di finanziamenti – promuove occasioni di riflessione ed approfondimento rivolti a tutto il territorio. Il titolo generale delle iniziative, per l’anno in corso, è “RECUPERI –AMO – PARTE SECONDA” facendo riferimento alla valorizzazione recupero degli oggetti, delle storie, delle memorie, dei valori… negli anni difficili che stiamo vivendo.

Il primo appuntamento - organizzato in collaborazione con il Museo e le Parrocchie di Cisterna e Valle S. Matteo – dal titolo “Recuperi – amo il senso di appartenenza alla comunità”, ha visto come relatore don Marco Gallo, docente di teologia dei sacramenti, direttore dell’Ufficio Catechistico (Saluzzo) e Viceparroco a Verzuolo. Dopo il dottorato in teologie dogmatiche, scrive e ricerca su pratiche rituali e fede. Ha all’attivo numerose esperienze all’estero.  L’incontro è stato introdotto da Tiziana Mo che ha portato i saluti degli organizzatori.

Ma cosa vuol dire comunità? Il termine, oggi, è più che mai abusato tanto che si vive in un mondo dove tutto viene volontariamente sottoposto all’ attenzione di un numero spropositato di persone… viene condiviso. Ma è davvero così?

La vera comunità è un impegno, un compito ma anche un dono. La nostra epoca, invece, è satura di solitudine.

Così, se nei tempi moderni si parlava di “morte di Dio”, nel post moderno è il prossimo ad essere morto nel senso che l’uomo fatica ad incontrarlo in modo davvero autentico. Si vive quindi circondati da moltitudini, spesso virtuali ma, in realtà, non si conosce davvero nessuno. I nostri antenati, al contrario, avevano la possibilità di parlare nell’ arco della loro vita con un massimo di cinquecento persone. Oggi ciascuno di noi, senza molta fatica, può incontrare lo stesso numero di persone in pochissimo tempo senza scambiare, però, due parole con nessuna di loro. Quindi la solitudine odierna è molto diversa rispetto a quella del passato perché ci si sente intimamente soli anche quando circondati da altra umanità.

La prima comunità nasce all’ interno della famiglia e il primo caso di “frateritas” è quello di Caino e Abele. Partendo da questo don Marco ha affrontato il tema del peccato.

Il peccato è come un animale selvaggio che allontana e fa soffrire il prossimo. Spinge a dubitare che possa esserci spazio anche per gli altri e convince che sia possibile salvarsi da soli. Tutto ciò rende l’ uomo sospettoso ed invidioso, eternamente insoddisfatto, incapace, cioè, di vedere tutte le ricchezze che gli appartengono. Esattamente come Caino i cui doni non vengono apprezzati da Dio. Però è proprio a lui che Dio rivolge le sue parole perché ciascuno di noi ha bisogno di essere amato in modo diverso. Caino, però, non coglie tutto diventando invidioso del fratello fino al punto di ucciderlo. Nella Bibbia il perdono non esiste ma, a volte, accade. Così Caino potrà tornare ad essere uomo in un altro modo. Caino non è in grado di affidarsi alla parola di Dio.

Invece una comunità esiste quando è presente una fede, cioè  una disposizione d’animo che consente all’ uomo di essere fiducioso rispetto al fatto che il prossimo non lo tradirà. Un “io ospitale” è il principio di una comunità che inizia con la vita stessa. Infatti, mentre si muore da soli, non si nasce soli. La madre e il padre danno amore, accoglienza e danno la prima consapevolezza dell’esistenza di un altro. Non solo, in particolar modo grazie alla figura del padre si vive l’ esperienza che c’è qualcuno - dentro al quale non siamo cresciuti – che può volere il nostro bene. Infatti l’uomo è desiderio di infinito che cerca di realizzarsi in una ricerca inesauribile che lo spinge verso l’altro.

Ma per costruire una comunità sono necessari anche altri passaggi perché il prossimo non si sceglie ma ci sceglie tanto che non riusciamo a vivere bene se non dentro al desiderio di un altro. Una comunità, quindi, nasce e si alimenta se apre le sue porte, accoglie e sa donare. Ma non basta perché una delle cose fondamentali è l’ attenzione che è in grado di far sentire le persone attese, che permette di leggere e capire gli altri nella quotidianità di ogni contesto in cui ci troviamo ad operare. Quindi una comunità, qualunque essa sia, si costruisce ogni giorno con l’ amore, la volontà e la capacità di guardare oltre al muro dietro al quale spesso nascondiamo anche noi stessi.

Giovanna Cravanzola


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