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ALLA RICERCA DELL’ORIGINE DELL’ODIO, DEL RAZZISMO E DELL’ANTISEMITISMO IN EUROPA, IERI E OGGI
Il titolo impegnativo di quest’articolo, che riprende quello dell’incontro tenutosi ad opera degli studiosi del gruppo filosofico Oron Oronta, riassume le riflessioni scaturite sabato 10 ottobre nelle sale del Castello di Cisterna. Partendo da un testo recentemente pubblicato, “Heidegger e gli ebrei – I Quaderni neri” di Donatella Di Cesare, si è tentato di affrontare una problematica ancora attuale, anche se i soggetti interessati non sono più gli Ebrei, ma le migliaia di profughi che provano a sbarcare in Europa. Secondo l’analisi condotta dalla scrittrice che insegna a La Sapienza a Roma, allieva di HansGeorg Gadamer, uno dei maggiori interpreti di Heidegger ,quest’ultimo era convinto del suo antisemitismo e la filosofia tedesca ne sarebbe sempre stata permeata: l’ebreo rappresenterebbe l’uomo della modernità, colui che sta rovinando il mondo per Heidegger. Il pensiero del filosofo tedesco nato a Messkirch nel 1889 e scomparso a Friburgo nel 1976, è indispensabile per chiunque voglia confrontarsi con la Shoah, ma nello stesso tempo la sua filosofia è stata funzionale perché si verificasse la catastrofe dell’Occidente, secondo Di Cesare. I controversi “Quaderni neri” (“Schwarzen Hefte”, cosiddetti per la copertina cerata in uso quando furono scritti ) sono gli appunti personali del pensatore, compilati tra gli anni 1931 e 1969. È stata la lettura di quei testi, di cui per ora sono edite solo le 1200 pagine, scritte tra il ‘31 e il ‘41, la molla che ha portato Di Cesare a fare i conti non solo e non tanto con Heidegger, ma con l’intera tradizione della filosofia tedesca e quindi con buona parte della filosofia occidentale; filosofia fondata, in larga parte, sul pregiudizio antisemita, pregiudizio non razziale, ma metafisico e ontologico (cioè radicale, all’origine delle cose). L’ebreo sarebbe stato percepito, raccontato e analizzato dai filosofi della “Terra del tramonto” in quanto entità estranea all’Occidente e alla sua storia. Per questo andava annientato. Ciò che accomuna al Führer, Lutero, Kant, Hegel, Fichte e perfino Nietzsche (che si definiva “anti antisemita”),è: «L’idea che l’ebreo è un ingannatore, un mentitore e che occorre sbarazzarsi dell’ebraismo. Kant parla dell’eutanasia dell’ebraismo, per Hegel l’ebraismo non aveva posto nella storia dell’Occidente». La studiosa ha letto pure il “Mein Kampf” di Hitler in chiave filosofica e sostiene che in quel testo il razzismo non è biologico, ma ha un suo fondamento teologico-politico:«Siccome l’ebreo è mentitore per natura, nei suoi confronti non valgono le regole normali, neanche in caso di guerra. Non è un nemico da combattere a viso aperto. È qualcuno da annientare con l’inganno”. Nei “Quaderni neri” finora resi pubblici gli ebrei vengono menzionati esplicitamente 14 volte; poi ci sono innumerevoli accenni, usando altre parole e frasi, ma che riportano l’ebraismo appunto alla sua presunta essenza. Secondo Heidegger è “Weltlos”, priva del mondo e non appartenente al mondo, tale è il fondamento ontologico e non certo razzista dell’antisemitismo del filosofo. Il concetto di “Weltlos” è stato illustrato durante una lezione dallo stesso Heidegger, il quale spiegava che l’elica dell’aereo è inanimata, è “Weltlos”, non appartiene alla storia, a meno che su quell’aereo non ci sia il Führer che va a trovare il Duce. Ecco, gli ebrei sono come l’elica, non appartengono né alla storia né al mondo. «Anzi», sottolinea Di Cesare, «gli ebrei per Heidegger non hanno posto in quello che lui chiama “la storia dell’Essere”».«Per Heidegger», dice, «gli ebrei sono immersi negli “enti”, cioè nel mondo degli oggetti e delle cose che ci circondano: un universo che preclude il contatto con l’Essere, con la fonte dell’autenticità, appunto». L’ebreo è una specie di artefatto, che «costituisce un impedimento alla storia dell’Essere».In termini filosofici: gli ebrei sono un nulla, e allo stato del nulla debbono essere riportati. Parlando del “nulla” in termini filosofici, Di Cesare spiega quanto Heidegger non avesse capito ciò che insegna l’ebraismo: il nulla non è assenza, ma è l’Altro. Heidegger non aveva capito che qualunque progetto del futuro deve essere collettivo e poggiare su un dialogo, una conversazione. «In fondo», dice la studiosa, «il Dio degli ebrei è un Dio che pone domande, si interroga e interroga, ascolta e si fa ascoltare». Nel tentativo di spiegare questo atteggiamento nei confronti degli ebrei, i relatori che si sono alternati nella Sala Maria Vittoria del museo cisternese, hanno aperto alcuni frangenti e spunti per elaborare un proprio punto di vista. Lo storico Edoardo Angelino ha affermato che l’antisemitismo ha radici molto profonde, non è un’invenzione di Hitler, dire di essere un ebreo ad una persona non era un complimento. Solo a partire dalla Rivoluzione Francese si è assistito ad un’integrazione degli ebrei nella società europea. In Piemonte, con lo Statuto Albertino del 1848, si riconoscono i diritti civili agli ebrei, che fanno di tutto per integrarsi; ad Asti, ad esempio, la famiglia degli Ottolenghi fa costruire il Teatro Alfieri e Piazza Roma. Dopo la Prima Guerra Mondiale, per spiegare la disfatta della classe dirigente, si trova un bersaglio, che incarni il male. I “Protocolli dei Savi di Sion” è un documento di propaganda antisemita, redatto probabilmente da una spia russa nel 1903, nel quale si racconta che 12 rabbini ed uno che fa l’appello si incontrano a mezzanotte nel cimitero di Praga, si raccolgono e contano tutti i soldi degli ebrei, non sono sufficienti, ma bastano ad iniziare la battaglia per sconfiggere i cristiani. È un testo palesemente falso, ma accettato per buono nel 1920 dal Times, Julius Evola sosterrà che forse non è autentico, ma veridico e anche il noto imprenditore Henry Ford scriverà un’opera, “International Jew” a sostegno della tesi del complotto, della cospirazione ebraica contro la società cristiana. Si tratta di scovare un cattivo a cui attribuire la colpa della disfatta. Gli ebrei sono anche accusati di aver inventato il comunismo; sono il bersaglio ideale, ebrei e ricchi, tanto da convogliare l’odio delle classi meno abbienti e non solo. Dopo Auschwitz non sempre questo odio si affievolisce; in seguito alla caduta del muro di Berlino emergono notizie in merito: nel ‘46 in Polonia si eseguono pogrom contro gli ebrei e l’ Olanda, nazione decantata per la libertà e l’apertura sociale, non dà aiuti particolari ai superstiti dei campi di concentramento. Marcello Furiani ha invece sviluppato il suo intervento intorno al rapporto tra violenza e filosofia. La scomparsa della teodicea affranca Dio dalla responsabilità della forma incompiuta del mondo e porta allo slittamento del male da problema metafisico a male umano, quello che gli uomini possono infliggere sotto forma di violenza. La filosofia si definisce come logos, come discorso ragionevole che si oppone alla violenza , ma i fatti del Novecento testimoniano come la ragione possa mettersi al servizio della barbarie. Il logos è strutturalmente attraversato dalla violenza, è insieme violento e violato. Eliana Tosoni ha affrontato la tematica del convegno avvalendosi dei sui studi sulla cultura ebraica e si è domandata perchè ci sia tanta avversione contro gli ebrei. La risposta è molto complessa, articolata e non univoca. Nella Berlino fino agli anni ‘30 si assiste all’assimilazione degli ebrei nella società, ne è testimonianza che Mendelssohn traduca la Torah (sono i primi cinque libri della Bibbia, dati al popolo d’Israele sul Monte Sinai) in tedesco. Nessun popolo come quello ebraico si è interrogato su cosa sia un’identità e continua a farlo, lo stesso Yehoshua ha scritto “Il labirinto dell’identità”.Il celebre autore israeliano si interroga sulla natura dell’identità ebraica, sulle sue componenti, sulle sue particolarità, sui cambiamenti ai quali è andata incontro in Israele rispetto a quella consolidatasi nei secoli della diaspora. È uno scritto politico, che raccoglie sette saggi inediti, in cui si sostiene che l’identità è un concetto mobile. Nel saggio “Un tentativo di riconoscere e di comprendere la radice dell’antisemitismo”, lo scrittore sopracitato ritiene che, fra tutti i tentativi di comprensione dell’antisemitismo, quello di Leo Pinsker – secondo il quale alla base dell’odio per gli ebrei sta la paura – si avvicini di più alla verità. Il fatto che Pinsker fosse medico gli permetteva forse una visione più equilibrata dei fattori scatenanti dell’antisemitismo, in cui, intuitivamente, riconosceva i sintomi di una malattia mentale del singolo, prima che motivazioni religiose, sociologiche, economiche e politiche. Pinsker riportò quindi il problema su un piano individuale, ponendolo solo in un secondo tempo su uno collettivo . Nel suo famoso trattato “Autoemancipazione”, pubblicato a Berlino nel 1882 (solo tre giorni dopo che Wilhelm Marr coniasse per la prima volta il termine «antisemitismo» per definire l’odio verso gli ebrei), il medico Pinsker parla della paura suscitata da questi ultimi. E così scrive con accento un po’ lirico: «L’ebreo è considerato morto dai vivi, straniero dai cittadini, vagabondo dagli stanziali, mendicante dai ricchi, ricco sfruttatore dai poveri, apolide dai patrioti e odiato antagonista da tutti». L’affermazione secondo la quale all’origine dell’antisemitismo vi sia la paura nei confronti degli ebrei, di primo acchito può apparire strana, inconcepibile, soprattutto per chi come noi sa che non solo gli ebrei non rappresentano una minaccia, ma che nel corso della storia sono sempre stati deboli e vulnerabili. Eppure sembra che Pinsker abbia colto nel segno e tutte le analisi dimostrano, soprattutto in casi estremi e brutali di antisemitismo, che è proprio la proiezione di paure a provocare reazioni tanto violente. L’esempio forse più evidente e inverosimile di questa paura assurda si trova nelle parole dello stesso Hitler, scritte alla vigilia del suo suicidio nel bunker bombardato di Berlino nell’aprile del 1945. Così scrive il Führer agli amici: «Il mio più grande errore è stato di sottovalutare l’influenza decisiva degli ebrei sugli inglesi, sotto il comando di Churchill». E al termine del suo testamento politico, aggiunge: «Passeranno anni, ma sulle macerie delle nostre città si riattizzerà la fiamma dell’odio per la razza responsabile di tutte le nostre tragedie: gli ebrei e i loro fiancheggiatori ». Gli ebrei sono colpevoli di essere un popolo disperso, frammentato, diviso, che rifiuta le religione dello Stato che li ospita, così come si racconta nel Libro di Ester,di grande importanza nella liturgia ebraica. Il Libro descrive un po’ quel che fu il dramma di questo amalgamarsi con gli altri popoli, cioè un po’ patire persecuzione e un po’ assorbire i loro usi quando si poteva. Il filosofo ebreo Emmanuel Levinas nel racconto “Con o senza biglietto di ritorno” confronta il viaggio di Abramo e quello di Ulisse. “Ulisse parte. Abramo parte. Un viaggio e un esilio. L’uno con la speranza di ritorno, l’altro verso un’altra terra, una terra straniera che diventerà sua. Uno ritorna, l’altro non cessa di camminare. Uno a casa sua, l’altro altrove. Uno verso l’ambiente famigliare dell’isola natale, l’altro verso l’incognita di un paese di cui non è originario. L’uno e l’altro certamente trasformati dalla strada, la polvere, le prove e gli incontri. Tuttavia, il loro cammino può essere identico? Il primo fa l’esperienza del ritorno alle stesse cose, e il secondo l’esperienza di un’alterità infinita che, alla fine, non è tanto quella della meta quanto quella di Dio. Due partenze. Poi, un ritorno e una chiamata”. Ulisse torna a casa, in un percorso circolare, Abramo no. Il suo è un errare nomadico, simbolo dello sradicamento originario. Ha concluso la giornata Gianni Cavallero, che ha definito Heidegger,:«il mago della Foresta Nera che perse la pietra filosofale», ricostruendo le vicende biografiche del filosofo figlio di un sacrestano bavarese, cresciuto nella Foresta Nera e autore nel 1927 di “Essere e tempo”, l’opera che ne fa l’esponenete principale dell’Esistenzialismo moderno. Heidegger o “il piccolo mago di Meβkirch”, perchè parlando dalla cattedra incantava i suoi ascoltatori, aderisce al partito nazionalsocialista per ottenere il rettorato dell’Università di Friburgo, pur rappresentando il pensiero critico abbraccia quanto di più negativo esista. Ben presto rimane deluso dal Nazismo e nel 1934,, si dimette definitivamente dall’incarico e si distacca per sempre dal partito di Hitler. Il filosofo si rende conto che, lungi dal voler costruire una società libera dallo strapotere della Tecnica (come egli aveva creduto), il nazismo vuole in realtà portare a compimento il suo nefasto trionfo, come dimostrerà ben presto la tragica vicenda dell’Olocausto. Non è un mistero che proprio sulla componente ebraica il pensiero di Heidegger abbia sempre esercitato un notevole fascino: Gunther Anders, Hannah Arendt, Hans Jonas, Karl Löwith e Leo Strauss, tutti ebrei e tutti illustri successori del presunto antisemita. Lo stesso Löwith sostiene che dopo “Essere e Tempo” era chiamato “il savio del tempo”. Con Hannah Arendt, la più nota dei suoi allievi, Heidegger intrattiene una relazione sentimentale, salvo poi dividersi sulle posizioni filosofiche e politiche: Hannah Arendt infatti non è mai stata nazista bensì una convinta liberale che negli anni Sessanta, con il suo capolavoro “La banalità del male”, ha descritto il processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann dimostrando, tra le altre cose, la complicità delle élite ebraiche (tedesche) del tempo nell’olocausto del loro stesso popolo. Indubbiamente la figura di Heidegger continuerà a far discutere, assumendo sfumature diverse a seconda dello sguardo di chi la analizzerà, condannandola o riabilitandola, ma è inutile esprimere giudizi sull’uomo Heidegger. I libri di storia ( e di filosofia) sono pieni di pensatori finiti dalla parte sbagliata: da Platone consigliere del tiranno Dionisio, ad Aristotele oligarca e schiavista; da Kant, sostenitore della Rivoluzione Francese anche nei suoi eccessi del Terrore, fino a Foucault ammiratore della rivoluzione islamica iraniana del 1979. Bisognerebbe quindi guardare con il giusto distacco storico alle vicende biografiche di questi pensatori, anche di quelli più vicini a noi dal punto di vita temporale, per evitare di perdere di vista il fulcro del dibattito e banalizzare un tema tanto importante e ribadisco attuale, riducendolo al campo del “si dice” e della “chiacchiera”, per usare le espressioni heideggeriane.
Elena Cerruti