REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO ALLA PAGINA:
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Un libro da solo può raccontare una storia di storie? Questa è una sfida sicuramente vinta da Silvana Mossano nel suo “Malapolvere” (Ed. Sonda), presentato il 13 febbraio 2016 al Castello di Cisterna d’Asti. L’incontro è stato organizzato dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I. C. di San Damiano d’Asti, nel calendario degli incontri di “RECUPERI –AMO – PARTE TERZA”, con il Museo e il Comune di Cisterna d’Asti, la Fondazione Crasti e l’Aimc di Asti. Silvana Mossano è scrittrice e giornalista, dal 1989, presso “La Stampa”. Dal 1984, come cronista per alcuni giornali locali, inizia a occuparsi della vicenda Eternit. Un lavoro difficile che ha portato proprio al libro “Malapolvere” (Ed. Sonda), ispirandosi al quale l’attrice Laura Curino ha tratto uno spettacolo che porta il medesimo titolo.
“Particolare, intenso e toccante” sono gli aggettivi usati da Luca Anibaldi, introducendo l’incontro, per definire questo volume che racconta una durissima battaglia per la tutela ambientale - che ha visto come protagonisti lavoratori, famiglie, amministratori, sindacalisti e anche i medici dell’ Ospedale “S. Spirito di Casale Monferrato - ma non solo. Infatti in “Malapolvere” sono palpabili le voci delle vittime e dei parenti
.che raccontano il travaglio di una diagnosi che li traghetta da un’esistenza tranquilla ad un altrove da tempo temuto. Eppure tutti questi personaggi non sono solo comprimari nel canovaccio della storia: ne sono i Protagonisti e, prima ancora, lo sono della loro vicenda personale che abitano quotidianamente fino all’ultimo, spesso armati del coraggio di non rinunciare alla loro battaglia personale ma anche a quella collettiva che li coinvolge. Nonostante tutto. Uomini e donne forti che non si arrendono - sia i morti che i vivi - perché quello che è accaduto non possa più accadere ad altri. Luca Anibaldi ha sottolineato anche la delicatezza con la quale la Mossano ha raccolto queste testimonianze. Allora, più che la morte, emerge la vita, la quotidianità, le piccole azioni comuni. Per questo, nonostante la durezza del racconto, non si indulge mai sul dolore o sulla commiserazione. Tutte le storie hanno un nome, un cognome, un legame di parentela e, spesso, portano nella seconda edizione la data della morte dell’intervistato perché è giusto e si deve ricordare. Il libro parte da un racconto estremamente realistico che fa riflettere sul significato di sintomi banali. Però, per chi è nato o ha vissuto in certi luoghi, potrebbero essere l’inizio di ben altro come il pensiero struggente di un bambino che rimarrà solo, di un genitore anziano e bisognoso di cure che non avrà più un sostegno. Chi si occuperà di loro? E di chi è la colpa se tutto ciò è accaduto? Sarà stata la puvri della fabbrica o il campetto pavimentato con l’ eternit dove giocavi quando eri piccolo oppure quella robaccia bianca e polverosa che copriva il tuo balcone tutti i giorni? Eppure era così bella e leggera quella polvere che la usavano anche come neve artificiale nei teatri. Tempi andati. Consapevolezza diversa. Innocenza finita. Un racconto molto umano che fa immedesimare il lettore perché quel qualcuno potremmo essere noi… e allora tutto cambia. Silvana Mossano, come cronista, ha iniziato ad occuparsi di queste vicende quando alcuni medici della zona la contattarono per sottoporle gli esiti di alcune indagini sui malati di mesotelioma: era evidente che la percentuale rilevata a Casale fosse molto più alta che altrove. Purtroppo, come è emerso successivamente, già alla fine dell’ ‘800 e, successivamente, intorno al 1938, era ormai chiaro che l’utilizzo dell’amianto fosse dannoso. Purtroppo queste erano evidenze per la comunità scientifica e per gli imprenditori ma non per le persone comuni. Casale Monferrato, già prima dell’utilizzo dell’amianto, era la capitale del cemento e, proprio per questo, venne scelta per impiantare la fabbrica “Eternit”, la prima in Italia. Questo termine (che ormai viene utilizzato per definire la maggior parte dei manufatti in amianto) in realtà si riferiva alla resistenza di un manufatto di amianto e cemento: eterno, per l’appunto. La fabbrica, nel corso degli anni, divenne una gran risorsa per la zona: garantiva un reddito elevato rispetto ad altre e una serie di benefici per gli operai. Una città intera si identificava con la fabbrica e, spesso, si ricorreva a qualche raccomandazione perché l’assunzione era ambita da molti. Purtroppo non si sapeva che la fibra di amianto potesse, nel tempo, causare la morte anche a distanza. Quello di cui gli operai erano consapevoli, almeno all’inizio, era che causava l’asbestosi dovuta ad un accumulo di polvere nei polmoni che, in cambio, determinava una compensazione finanziaria da parte della fabbrica. La ditta, per evitarlo, invitava gli operai a non fumare e bere latte ma era già evidente a tutti i lavoratori che la sicurezza dei luoghi di lavoro non fosse assolutamente adeguata. Eppure, ad ogni controllo, la fabbrica risultava in regola. Infatti, questi ultimi avvenivano dopo che i responsabili erano stati avvisati con largo anticipo. Chi protestava finiva a lavorare in settori della ditta paragonabili a gironi danteschi, pieni di polvere che invadeva bocca, gola e polmoni. Tutti tornavano a casa ricoperti di puvri, la stessa che ricopriva la strada, i balconi, i cortili, l’aria che tutti i casalesi respiravano. Ad un certo punto, non fu più possibile per nessuno pensare che le morti fossero causate dalla poca cautela adottata da qualche operaio durante il lavoro anche perché, a poco a poco, cominciarono a morire le mogli, i figli, gente passata vicino alla fabbrica per caso ma anche persone che non avevano mai avuto contatti con essa o che abitavano molto lontano dalla sua sede. Proprio per questo, come ha ribadito la giornalista, un articolo non era più sufficiente. Da qui la necessità di scrivere un libro e, contemporaneamente, il timore di non trovare le parole giuste. Eppure c’era l’urgenza di far conoscere non solo una tragedia collettiva ma anche le singole storie, le esistenze troncate che, anche se individualmente, costituivano un’enorme catastrofe. La scelta del racconto iniziale, sta a sottolineare lo stato d’animo sospeso di ogni casalese prima di un controllo medico: l’amianto, prima che in ogni parte del corpo, è entrata nelle teste anche dei sani e fa vivere come sospesi con la consapevolezza che si potrebbe essere la prossima vittima. Però, bisogna essere consapevoli che “amianto” non è sinonimo di una città. Con l’amianto tutti noi abbiamo a che fare quasi ogni giorno: è vivo e vegeto in qualche copertura - ormai obsoleta - che si trova sul nostro garage o su quello del vicino, è in qualche tubo sfaldato, fa parte del pavimento o del tetto di qualche fabbrica abbandonata al centro di qualche paese non troppo lontano dal nostro, è abbandonato abusivamente in qualche prato, è nell’aria che pensiamo essere sana solo perché Casale è lontana. Eppure bonificare è possibile e sicuro. Allora Casale Monferrato non è solo lutto, disastro e tragedia: è l’espressione concreta che è possibile essere cittadini attivi che conducono la loro lotta anche per noi. Ci insegna anche che l’indifferenza è peggio della puvri. Per questo “Malapolvere”, racconta che, se si è uniti, è possibile sperare e lottare per vivere in “Un posto sicuro”.
Prossimo incontro sabato 27 febbraio 2016 alle 17,00 al Castello di Cisterna d’Asti. Sergio Favretto presenterà “Fenoglio verso il 25 aprile narrato e vissuto in Ur il partigiano Johnny” (Ed. Falsopiano) introduce l’incontro Mario Renosio dell’ Israt. L’ingresso è libero e, per gli insegnanti, la partecipazione è valida ai fini dell’aggiornamento professionale.
Giovanna Cravanzola