“UN TUFFO NELLA VITA” PRESENTATO IL LIBRO DI PAOLO BERTA ED EDOARDO ANGELINO
17^ INCONTRO DEL POLO CITTATTIVA PER L’ASTIGIANO E L’ALBESE PER L’A.S. ‘16/’17
REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3
È terminato - venerdì 23 giugno 2017 a Cisterna d’Asti - con la presentazione del libro “Un tuffo nella vita” (ed. Lindau) di Paolo Berta e Edoardo Angelino il ciclo d’incontri promosso dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano d’Asti con il Museo Arti e Mestieri di un Tempo, la Fondazione CRAsti, l’AimcAsti, il Comune di Cisterna d’Asti e le Parrocchie di Cisterna e Valle S. Matteo.
“Un tuffo nella vita” racconta una storia vera ed è stato scritto a quattro mani nel corso di circa sei anni con l’intento di lasciare un ricordo di sé agli amici ma, nel corso della stesura, è diventato molto di più perché la storia che contiene avrebbe potuto riguardare ciascuno di noi ma è toccato viverla a Paolo Berta. Nel 1980, a ventiquattro anni, la sua vita cambia completamente direzione a causa di un tuffo, fatto e rifatto altre mille volte nel mare della Liguria, che gli causa una tetraplegia. In un momento, tutto quello che si è programmato, sperato, costruito… è cancellato dalla forza di un’onda che decide diversamente non solo un destino ma quello di tutta una famiglia.
Edoardo Angelino ha voluto presentare questo libro partendo proprio da tutto ciò che significa essere disabili. Sono gli sguardi di compassione delle persone, le mille attenzioni maniacali per evitare infezioni e piaghe da decubito, la consapevolezza che nulla sarà più come prima, il chiudersi – e a volte implodere – delle famiglie coinvolte… ma, talvolta, anche l’affacciarsi di forza emotiva e capacità prima di allora sconosciute.
È proprio quello che succede a Paolo Berta che, durante una serie infinita di esperienze anche traumatiche e dolorose, trova il modo per vivere e non sopravvivere. Il suo è stato un percorso lungo e pieno di ostacoli soprattutto perché la consapevolezza sociale e gli strumenti medici e diagnostici per la cura di patologie come la sua erano agli albori nell’Italia degli Anni Ottanta. Paolo, a venticinque anni, si ritrova a essere inabile al lavoro, considerato una sorta di peso morto dallo Stato che non è in grado di sfruttare tutte le potenzialità delle persone disabili e, ora, non ne conosce l’effettivo numero annoverandoli tra i pensionati. Ancora oggi, i casi simili al suo dovuti a incidenti stradali, per cause di lavoro e così via, sono centinaia e riguardano per la maggioranza dei giovani.
Il percorso di Paolo e della sua famiglia è, per quasi dieci anni, travagliato: deve essere assistito h24 e i suoi genitori badano a ogni sua esigenza ma poi ci sono mille ostacoli da superare per potersi muovere e accedere a qualsiasi spazio, anche alla propria abitazione. Solo un appello scritto dal padre all’allora Presidente della Repubblica Pertini, consente di effettuare una semplice modifica all’ascensore condominiale che gli permette di poter uscire da casa. In seguito, alla morte del padre nel 1997, sarà Ciampi – interpellato questa volta da Paolo stesso – a interessarsi affinché le porte di quello stesso ascensore siano automatizzate. Interventi realizzati solo grazie alla caparbietà ma che sarebbero stati atti dovuti nei confronti di un cittadino. Eppure, ogni piccolo passo, proprio a causa della miopia delle persone e anche della burocrazia, si trasforma in un Everest che, sovente, sfinisce chi non ha persone con le quali condividere il carico della malattia. Per fortuna, Paolo può contare sull’aiuto degli amici veri di un tempo ma anche di nuovi che si adoperano per sopperire in qualche modo al suo disagio. L’iniziale pensiero del suicidio è spazzato via dalla morte improvvisa di un amico. Di fronte al dolore di quella famiglia, decide che non può infliggere una simile sofferenza ai suoi cari. Così, intorno alla fine degli anni ’80, comincia una lenta risalita. Fondamentale in questo percorso è l’incontro con Rosanna Benzi, una donna che – dall’adolescenza – è costretta a vivere all’interno di un polmone d’acciaio a causa della poliomielite. Questa giovane donna coraggiosa gli infonde la voglia di vivere e la consapevolezza che la vita non è inutile.
Così, dal 1990 a oggi, diventa consigliere comunale ad Alessandria. Fonda l’Associazione Idea, il cui direttivo è composto di disabili con problematiche di diverso tipo. La sua sede è un luogo dove i disabili si possono incontrare e trascorrere del tempo senza essere ostacolati da barriere architettoniche. Il motto dell’associazione è: “Non vogliamo avere altri iscritti” e offre un supporto per persone che, a qualsiasi età e per qualsiasi motivo, si trovano di fronte alla disabilità propria o di un parente. Nel corso degli anni, anche grazie alle battaglie di Paolo Berta, la struttura sanitaria “Borsalino” di Alessandria diventa la seconda unità spinale dopo il Cto di Torino. Vengono anche aperte sul territorio case-famiglia per disabili gravissimi.
Non solo, vista la sua esperienza iniziale, lo scopo è di dare un aiuto per quanto riguarda le richieste che devono essere formulate per gli ausili, le strategie da utilizzare per la gestione dei malati… cose sicuramente non da poco che sono raggi di luce per famiglie spesso provate da dolore e impotenza. Infatti, spesso, con la disabilità si guadagna la trasparenza o, magari, la compassione sterile che non aiuta e non è in grado di migliorare la vita di chi le vive ogni giorno. Grazie ad una lunga ricerca interiore, oggi Paolo Berta può dirsi felice perché, come ha raccontato ad Angelino: “A ventiquattro anni correvo, ballavo… ero soddisfatto della mia vita. Ripensando a quel periodo, mi accorgo che mi mancava qualcosa. Oggi, invece, quando vado a dormire e ho aiutato qualcuno che sta peggio di me, mi sento felice”.
Non è accontentarsi o farsene una ragione, è avere la consapevolezza di tutto ciò che non si potrà mai più fare ma anche conquistare uno sguardo che riesce a cogliere tutto ciò che prima era invisibile come la sofferenza degli altri.
Paolo Berta insegna la solidarietà che l’ha aiutato a risalire da quel tuffo e che oggi gli permette di dire: “Sento la mia vita più ricca di prima della disgrazia”. Proprio per questo, il libro non racconta solo sofferenza ma una storia rivolta alla speranza e al futuro. Giovanna Cravanzola