GUIDO FOA RACCONTA LA STORIA DELLA SUA FAMIGLIA AI BAMBINI DELLE SCUOLE
DI CISTERNA D’ASTI
REGISTRAZIONE (in formato mp3) DELL’INCONTRO
Gente che va, gente che viene e alcuni incontri sono davvero speciali. Tra questi quello di martedì 6 marzo 2018. L’iniziativa - che si è tenuta presso la Scuola Primaria di Cisterna d’Asti - è stata organizzata dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano d’Asti, Fondazione CdF, il Comune e il Museo di Cisterna d’Asti e la Fra Production Spa all’interno del progetto “Diritti verso il 2018“.
Ecco il resoconto scritto dai bambini: “E’ giusto che alcune persone si sentano superiori alle altre? E’ giusto che alcune persone debbano rinunciare a tutto per colpa di altre? E’ giusto classificare le persone per la propria religione? È giusto che qualcuno debba pagare per qualcosa che non ha fatto?… Queste e molte altre sono le domande che ci siamo posti dopo aver ascoltato una storia reale: tragica ma anche commovente, piena di emozioni e di speranza. Guido Foa è venuto a raccontare la storia della sua famiglia martedì 6 marzo 2018 presso la Scuola Primaria Statale di Cisterna d’Asti. Erano presenti i bambini dell’ultimo anno della Scuola dell’Infanzia e tutti gli alunni della Scuola Primaria di Cisterna d’Asti. Tutto è iniziato quando sono state emanate nel Leggi Razziali nel 1938. I nonni di Guido erano ebrei e si chiamavano Elena Recanati e Guido Foa. Si erano sposati molto giovani perché c’era la guerra e, in seguito, avevano avuto un figli: Massimo. La famiglia di Elena aveva deciso di partire perché aveva paura. Invece, la famiglia di Guido aveva deciso di rimanere in Italia. Così, Elena, Guido, Massimo e il nonno Donato iniziarono a scappare perché erano perseguitati dai nazisti e dai fascisti. Andarono a Cuorgnè ma, in seguito, furono arresti per colpa di una spia. Furono portati alle Carceri “Nuove” di Torino. Appena arrivati, furono separati: Elena e Massimo andarono nel reparto femminile mentre Guido e Donato in quello maschile. Un giorno, suor Giuseppina – che lavorava nel carcere – propose una cosa a Elena: quando sarebbe venuta a ritirare le lenzuola, avrebbe nascosto Massimo, di soli nove mesi, nella cesta. In questo modo, salvò Massimo e lo portò a Cuorgnè dalla signora Clotilde Boggio, detta “mamma Tilde”. Elena aveva affidato suo figlio a Tilde perché l’aveva conosciuta mentre si stavano nascondendo e sapeva che era una brava donna. Massimo rimase a Cuorgnè fino al ritorno della mamma. Nel frattempo, nonno Donato, Guido e Elena andarono in campo di concentramento: Auschwitz. Qui vennero di nuovo separati e non ebbero più notizie uno dell’altro. Il 1 maggio 1945 i russi liberarono il campo dove c’era Elena. Dopo la liberazione, passarono molti giorni prima che riuscisse a rivedere Massimo. Mentre era sul treno del ritorno, fece vedere il certificato di prigionia che le avevano dato i partigiani italiani e serviva per viaggiare senza difficoltà. Quando gli altri passeggeri lo videro, le chiesero cosa le fosse successo e lei lo raccontò. Però, una signora le rispose che anche lei aveva subito molti danni: si erano rotti tutti i vetri della sua casa. Elena di accorse che gli altri non avrebbero capito il suo dolore. Arrivò a Milano e, poi, andò a Torino dove sua cognata Paola le portò, finalmente, Massimo. Nonno Donato e Guido, invece, non tornarono più. Elena aspettò notizie di suo marito per molti anni ma non seppe mai nulla. Decise di rimettersi a studiare e si laureò. Riuscì a riprendersi la fabbrica della famiglia di suo marito e divenne la prima donna italiana a capo di un’azienda. Infatti, nonno Donato aveva affidato la sua ditta a una persona cara per non perderla a causa delle Leggi Razziali del 1938. Però, alla fine della guerra, questa persona non voleva restituirla. Così Elena combatté ancora. Dopo qualche anno, si risposò con Carlo, l’avvocato della ditta, e ebbe altri due figli: Roberto (1951) e Barbara (1961). Massimo divenne grande e si sposò con Carla, poi con Mariella, ebbe sei figli e una bella vita. Elena insegnò ai figli e ai nipoti a non odiare i tedeschi. Massimo nel 2007 andò a visitare il Museo delle Carceri Nuove di Torino e si accorse che la guida raccontava la sua storia. Da allora, andò nelle scuole a parlare ai ragazzi. Oggi, Massimo non c’è più ma suo figlio Guido, e non solo, continua a raccontare la sua storia. Grazie a questo incontro, ci siamo resi conto di quanto noi siamo fortunati perché non abbiamo vissuto queste cose e siamo liberi. Guido ci ha insegnato che esistono i cattivi e i buoni ed è giusto ricordare chi fa del bene.
Invece, il Male è pensare che ci siano persone diverse da uccidere mentre il mondo dovrebbe essere pieno d’amore.”
Testo collettivo
Diego e Irene Bellaccomo, Marco Berardi, Francesca Cerchio, Erika Ilieva, Chiara Mancuso, Angelo Pasinato, Matilde Vaudano
cl. 5^ A, Scuola Primaria Statale di Cisterna d’Asti