“AL ROMBO DEL CANNON. PRIMA GUERRA E CANTO POPOLARE”
8° INCONTRO DEL POLO CITTATTIVA PER L’ ASTIGIANO E L’ALBESE A.S. 2018/19
REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3
“Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà…”
Sabato 1 dicembre 2018, Castello di Cisterna d’Asti: un freddo pomeriggio è stato riscaldato dalla chitarra di Piercarlo Cardinali e da Betti Zambruno. La sua voce emozionante si è arrampicata per le sale del Castello di Cisterna d’Asti ed è diventata note, parole, nostalgia, lontananza che sanno di dolore e rimpianto. Sono apparse voci, nomi senza sguardi, dimenticati sulle lapidi dei monumenti che, spesso, ci lasciano indifferenti. È il sangue delle nostre famiglie diventata carne da macello nella Grande Guerra.
L’ultimo incontro del ciclo di conferenze “Vecchie e nuove resistenze – C” (promosso dal Polo Cittattiva per l’astigiano e l’albese – I.C. di San Damiano d’Asti in collaborazione con Museo e Comune di Cisterna d’Asti, Isral, Israt e Aimc Asti) non poteva concludersi nel modo migliore con la presentazione del libro “Al rombo del cannon. Grande guerra e canto popolare” (Neri Pozza Editore) di Franco Castelli, Alberto Lovatto, Emilio Jona.
Laurana Lajolo – che ha moderato dialogato con Castelli e Jona – ha sottolineato come il senso del libro sia complesso, frutto di un lavoro estremamente accurato, impegnativo – e durato anni – per i tre autori. Franco Castelli dirige il “Centro di cultura popolare “G, Ferraro” presso l’ Isral. Alberto Lovatto è uno studioso di oralità.
Emilio Jona è un maestro del ‘900 per tutti coloro che si sono occupati di musica popolare. Ha insegnato un metodo ed il libro è un’esemplificazione di come il canto popolare si possa inserire in un contesto sociale, antropologico e storico. Il libro prende il titolo da un canto di guerra ma riporta alla mente anche il paesaggio sonoro di quegli anni. Studiare la prima guerra mondiale attraverso i canti è una scelta culturale ma anche civile perché utilizza il punto di vista degli ultimi. Fu combattuta i contadini costretti a diventare soldati non sapendo nulla di Stato o guerra. Si ritrovarono immersi in trincee senza la possibilità di comunicare a causa della lingua: si incontrarono un coacervo di dialetti ma ci furono ben 14 miliardi di lettere e cartoline spedite. Questi canti riproducono lo smarrimento ma, in quelle condizioni tragiche, si formarono una coscienza e una lingua popolare condivisa. Il libro è un lavoro di studio e originalità soprattutto se confrontato con le celebrazioni, spesso retoriche, di questi giorni. Attraverso i canti popolari viene fuori la vita individuale che diventa esperienza collettiva: una voce che si unisce alle altre. C’è inoltre un’attenzione agli intellettuali che, in seguito, ne hanno scritto perché erano quelli più vicini ai soldati/contadini. Questo lavoro si può consultare attraverso corridoi di lettura e può essere letto anche come un diario. Infatti, ha proseguito Emilio Jona, gli studiosi possono farne un utilizzo importante. Non esiste un altro tentativo di studiare il canto della prima guerra che fornisce uno studio sociologico, antropologico e storico. La storia non si fa solo con la memoria. Uno studio di questo tipo si può fare solo partendo dalla storia dal basso. Fino a Caporetto, è piena di sconfitte, non è una guerra del popolo e ci entriamo impreparati. È naturale che per il popolo i canti esprimessero protesta o anche il desiderio di pace. A un soldato bastava essere scoperto a cantare uno di questi canti per essere messo agli arresti o anche fucilato.
“Abbiamo recuperato i canti repressi – ha detto Franco Castelli – Jona ha iniziato nel ’58. Il libro è frutto di anni di lavoro. Mio padre cantava lavorando e, negli anni ’60, ho iniziato a raccogliere canzoni con i miei genitori. Per questo libro abbiamo recuperato materiale mai pubblicato e, grazie al lavoro di ricerca, abbiamo fatto riaffiorare una memoria sommersa che non era spenta. Contrariamente ad altri studiosi, siamo convinti che il canto sia simbolo della contemporaneità di un popolo che vuole progredire. Abbiamo scandagliato queste formule in modo maniacale scoprendo che il canto popolare è una forma liquida e si modifica in continuazione sulle esigenze del presente proprio perché è orale”.
Il canto popolare – ha ripreso Jona – non è originale sul piano musicale che è molto semplice ma i testi cambiano e, per ognuna, sono presenti moltissime versioni.
“Sono diventato musicologo perché con alcuni amici (Calvino, Eco…) volevo oppormi al mondo di S. Remo. Potevamo accedere alle Case del Popolo dove ci regalavano canti e la raccolta è iniziata così”.
Come ha sottolineato Laurana Lajolo, il pomeriggio ha elargito una magnifica pagina metodologica.
Quest’ultima, accanto alla magia della voce e della musica di Betti Zambruno e Piercarlo Cardinali, ha regalato un pomeriggio dove la cultura è diventata viva, presente, utile… davvero parte di noi.
Gli incontri del Polo Cittattiva per l’astigiano e l’albese riprenderanno a partire dal mese di febbraio 2019. Per maggiori informazioni consultare il sito: www.scuolealmuseo.it/blogdidattica/.
Giovanna Cravanzola