Lunedì, 7 Gennaio 2019 | Scritto da: didattica

pedagogiaresistenzaweb

“COMUNITA’ RESISTENTI E PEDAGOGIA DELLA RESISTENZA”

IL PROF. RAFFAELE MANTEGAZZA  AL CASTELLO DI CISTERNA D’ASTI

2° CONVEGNO DEL PROGETTO “COMUNITA’ RESISTENTI”

REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3

pedagogiares1

“Sono i piccoli gesti quotidiani che aiutano a resistere”, con le parole l’ins. Tiziana Mo si è aperto – sabato 9 febbraio 2019 al Castello di Cisterna d’Asti – il 2^ convegno del progetto “Comunità Resistenti” organizzato da Ecomuseo delle Rocche, Rete Museale Roero Monferrato, Museo Arti e Mestieri e Comune di Cisterna d’Asti, Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese, Aimc di Asti e Israt. Come hanno sottolineato i responsabili – Tiziana Mo e Silvano Valsania –  coinvolge 8 istituti ed è maturato in seguito a due eventi: l’incontro degli Ecomusei del Piemonte di Settimo Torinese e la Fiera del libro sul Roero di Montà d’Alba. Queste iniziative hanno avuto il merito di pubblicizzare la ricchezza culturale del territorio del Roero e sono state il volano per la realizzazione del progetto “Comunità resistenti” che ha come obiettivo quello di sviluppare competenze di comunità sperimentando quelle più elementari di cittadinanza. “Oggi la scuola è l’unico luogo laico per fare ciò. Occorre reagire alla semplificazione, all’ignoranza, all’ideologia identitaria e razzista. Si parte da ciò che si dovrebbe conoscere meglio: il luogo di vita che spesso non si conosce. Creando legami affettivo, il territorio si scopre. La scuola è anche luogo di meticciato e contaminazione. L’ambizione è dare alla Regione i risultati di tutte le scuole del Piemonte che hanno lavorato in questo senso” ha detto Valsania. “Il progetto è il risultato di un territorio che ha saputo far rete (Ecomuseo delle Rocche, Rete Museale, Aimc di Asti, Polo Cittattiva) costruendo nel tempo” ha concluso Tiziana Mo. Ha preso poi la parola il Prof. Raffaele Mantegazza, docente presso l’Università Milano Bicocca. Corpovoce: sono queste, per il prof. Mantegazza, le più potenti nuove tecnologie a disposizione degli insegnanti. Spesso, però, sono loro i primi a non averne consapevolezza in una scuola sempre più tecnologizzata. Per questo motivo, gli insegnanti oggi sono chiamati a resistere contro una scuola delirante che ha perso la propria identità. Le prime tecnologie, invece, sono proprio il corpo e la voce, la capacità di essere e di relazionarsi: gli insegnanti che ne hanno consapevolezza critica, possono pedagogiaresdavvero lasciare il segno. Tutto il resto, poi, può essere un utile strumento che non deve essere demonizzato ma non deve neppure diventare il fine dell’azione educativa. Corpo e voce sono il nostro modo di stare al mondo. Purtroppo, oggi, si ha l’impressione che si siano persi di vista i fondamentali educativi che permettono di intercettare l’altro. Per questo motivo, innovazione non vuol dire attaccare una spina a tutto e a tutti perché la prima forma di resistenza è la professionalità di docenti capaci di intercettare i bisogni di aiuto, comunicazione, accoglienza e inclusione. Purtroppo, sovente, si perde di vista il vero fine e la valutazione – che deve essere comunque seria e autorevole – anziché essere costruttiva è strumento di umiliazione. La libertà di insegnamento non dovrebbe mai oltrepassare certi limiti e agire, sempre, all’interno di un pensiero pedagogico che non significa mai far ciò che si vuole senza rispettare l’altro. Ma cos’è la scuola? Non è un’agenzia – termine ricorda un ente che eroga dei servizi – ma un’istituzione ed è fondamentale avere ben chiara questa distinzione. È il primo contatto che abbiamo con il mondo dei diritti e anche dei doveri e accoglie le differenze come un arricchimento. Utilizzando una metafora, la scuola oggi è come una macchina da scrivere che, a differenza del computer, sa fare solo una cosa. È un’invenzione umana e, per molti, sembra essere arrivato il momento per decretare la sua inutilità. Addirittura, non esiste più una scuola dell’obbligo grazie all’introduzione della scuola parentale e non ci si va più solo per imparare. Eppure, mai come oggi, c’è bisogno di una scuola strategica per attuare una certa idea di umanità. Utilizzando un’altra metafora, potrebbe essere paragonata al celebre dado Knorr “che sa fare solo il dado”. Infatti la scuola sa fare una cosa e, tendenzialmente, la sa fare bene. Oggi, però, deve ritrovare la sua identità, il suo dado Knorr che è la socializzazione dell’apprendimento. Infatti, se è vero che si impara dappertutto, a scuola ciò avviene tutti insieme. Al suo interno, non si dovrebbe competere contro gli altri ma contro l’ignoranza. Pertanto, oggi deve resistere all’invasione della competitività fine a se stessa, al sapere classificatorio e diagnostico che ha medicalizzato le classi. Deve aprirsi al territorio avendo, però, la capacità di rimanere scuola per non trasformarsi in un “ricettacolo” di progetti spesso inutili e inconcludenti. In queste gare ridicole tra istituti, si dovrebbe infatti ritrovare il senso di ciò che si fa, le motivazioni per le quali qualcosa è importante: meglio poco e fatto bene. Occorrerebbe anche dare di nuovo valore al senso della fatica che trova un risultato, dell’impegno, della cura di sé, della convinzione che tutti – davvero – possono essere artefici del cambiamento. Resistenza è anche accettare l’idea della morte perché tutti noi siamo protagonisti di una storia che avrà una fine o un cambiamento a seconda delle proprie idee. Oggi, invece, è impossibile parlare di morte: viviamo tutti in un eterno presente con la convinzione che il tempo, anziché lineare, abbia un andamento ciclico, esattamente come accade nei videogiochi dove si può sempre tornare indietro. Insegnare che ciò non è possibile, significa responsabilizzare rispetto alle scelte ma anche promuovere l’accettazione della fragilità umana. Per questo, se vogliamo un mondo migliore, occorre ripartire da un’ idea di scuola e di insegnanti consapevoli del loro ruolo, autorevoli, innamorati della bellezza e capaci di farla cogliere ai ragazzi insieme alla trascendenza che è la capacità di guardare oltre il presente e ciò che si vede. L’educazione è rivoluzionaria proprio perché si basa sull’idea di speranza che c’è nell’uomo. Occorre recuperare l’orgoglio e il senso di un mestiere straordinario che è sempre in divenire. I veri insegnanti – coloro che lasciano il segno – sono anime inquiete che aspirano alla felicità dei loro alunni nel presente affinché siano felici anche nel futuro.

Senza la scuola il mondo sarebbe più povero perché la cultura serve a farci vivere ma anche a morire meglio.

Giovanna Cravanzola

pedagogiares2

Partecipa alla discussione