“PACIFIC PALISADES: LE PACIFICHE PALIZZATE CHE ABITANO IN TUTTI NOI”
DARIO VOLTOLINI E ENRICO CICO CONCLUDONO IL CICLO DI INCONTRI AL CASTELLO DI CISTERNA D’ASTI
REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3
Con la presentazione del libro “Pacific Palisades” (Ed. Einaudi) di Dario Voltolini, si sono conclusi gli incontri al Castello di Cisterna d’Asti. L’incontro, organizzato dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano d’Asti con il Museo Arti e
Mestieri di un Tempo di Cisterna e l’Aimc di Asti, si è tenuto giovedì 27 giugno 2019 e si è reso possibile grazie alla collaborazione della sig.ra Giovanna Dogliero, amica d’infanzia dell’autore. Dario Voltolini, ne ha discusso con Enrico Cico che ha sottolineato come il libro sia una sorta di conversazione a più voci che vede al centro l’autore. Parla di una terra di mezzo che appartiene a tutti noi e che è popolata da tante presenze. I concetti di presente, passato e futuro, nel libro, sono relativi: i flussi dei ricordi si intersecano per tracciare percorsi inconsueti. Si narra una situazione interessante dove tutti noi ci troviamo sempre, specialmente oggi dove siamo circondati da luoghi/non luoghi in cui la solitudine diventa un elemento fondamentale del nostro essere. Proprio il termine luoghi che definisce il senso delle palizzate. “Ma chi è Dario Voltolini?” ha chiesto Cico. “Sono io, il frutto di anni di tentativi di scrittura. Ho cercato di capire cosa capita nella porosità tra me stesso e il mondo. Io penso che la scrittura sia una forma artistica e cerco di fare piccole composizioni artistiche. Rispetto al titolo del libro, tutto parte dall’incontro casuale con un’amica che stava per partire per Pacific Palisades, un sobborgo di Los Angeles, un luogo che ritrovo durante un mio viaggio ma che non visito. Mi si mette in modo il cervello, però. Le palisades, sono delle scogliere. Sono palisades pacifiche… ma cosa vuol dire? Pensandoci bene, noi siamo proprio fatti così. C’è una zona intima e fragile dentro di noi che cerchiamo di difendere con dei segni. Però non possiamo evitare che qualcuno entri. Ci sono quindi grandi violazioni di questi territori e, quando accade, si segnala un nuovo confine. Il territorio che tentiamo di proteggere è un terreno fragile ma è anche il luogo dove torniamo a nascere” ha detto Voltolini. In effetti, come ha sottolineato Cico, questi luoghi sono geografici, storici ma anche dell’anima e le palizzate non sono linee rette ma intersezioni. “Il limite ti permette i trovare mondi inesplorati. L’essere umano, quando incontra delle difficoltà, trova delle soluzioni” ha proseguito Voltolini. Il libro contiene dei personaggi come la donna del bar che, in realtà, è la zia dell’autore. “Ho convocato i miei parenti paterni assegnando a ciascuno un numero per raccogliere informazioni. La donna (che va nei bar) è la zia Palmira (nella versione teatrale ammetto che si è suicidata). Era una donna vitale che, ogni giorno, visitava tutti i bar della sua zona fino a sera. Palmira è un inno a una vitalità che entra in un gorgo e che termina con un atto volontario. Grazie alla zia, rivisito il mio quartiere. Palmira faceva tutti i giorni le stesse cose. Se avesse visto qualcosa di diverso, forse, la sua vita sarebbe stata diversa”. Secondo Cico, il libro contiene momenti di sosta e ripartenze, ostacoli e potrebbe continuare. Secondo l’autore, il libro non ha una fine ma un risultato parziale lo ha raggiunto. Le nostre palizzate sono invase da atti d’amore che, però, ci procurano anche dolore e la stessa cosa ci accade con gli altri. Si potrebbe intervenire se le nostre palizzate riuscissero a fare da filtro ma, probabilmente, è impossibile. Potremmo forse cercare di trattenere il dolore lasciando passare negli altri solo l’amore. “Dovremmo dare una miscela pulita” ha detto Voltolini “e questo è l’atto creativo che è ciò che ci fa andare verso gli altri ed è proprio questa la mia Itaca parziale. Nel libro si parla anche della guerra. La mia famiglia proviene dalla Valsugana dove è passato il fronte della Prima Guerra Mondiale. Un giorno, andando nel cimitero del paesino dei miei, ho trovato una ragazza che piangeva sulla tomba di un morto antico. Ho passato che, anche attraverso il tempo, c’è qualcosa che passa e arriva fino a noi“. Tra le domande del pubblico, una riguardava il peso delle parole sui fatti. “Io lavoro con le parole ma c’è una perdita verticale della parola. Ne avevo già parlato nei primi anni del 2000 quando, a un certo punto, sembrava che le immagini fossero in grado di superare il senso delle parole. In realtà, non è così vero ma successo qualcosa che riguarda il nesso tra parole e fatti. Questi ultimi, senza le parole per descriverli, non esistono. Il successo di Salvini, ad esempio, è decretato dal fatto che le persone dicono di capire ciò che dice. Il giornalista Luca Rastello diceva che le testate giornalistiche, scrivono ciò che il loro pubblico vuole sentirsi dire” ha detto Voltolini. Tutto ciò significa che la produzione giornalistica usa le parole in modo cortigiano: è un altro gioco dove le verità sono sempre in subordine. “Oggi, quindi, la parola è di nuovo potente ma non si sa più chi ci sia dietro e, soprattutto, se racconta il vero. Allora io come faccio a capire il mondo? Viviamo per questo in un grande dubbio. La scrittura, per me, è il varco principale verso un mondo di fantasia. C’è una letteratura di finissima qualità ma è diventata quasi come uno sport minore di cui nessuno si accorge. È come se fosse entrata in un cono d’ombra che interessa poco. La mia paura è che questo mondo diventi obsoleto perché non è più in grado di comunicare se stesso agli altri”. Una serata per riflettere sui confini che abitano le nostre terre di dentro. A volte, sono palizzate pacifiche, altre volte sono muri spessi come quelli della Grande Muraglia ma, in fondo, il desiderio di ciascuno di noi è quello di incontrare qualcuno capace di superarli, in ogni caso, per conoscere l’essenza di noi stessi. Gli incontri promossi dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese riprenderanno a partire dal mese di settembre 2019 al Castello di Cisterna d’Asti.
Giovanna Cravanzola