“VENNE ALLA SPIAGGIA UN ASSASSINO” QUANDO NON E’ DIFFICILE CAPIRE COSA E’ GIUSTO FARE”
2° INCONTRO DEL POLO CITTATTIVA PER L’ ASTIGIANO E L’ALBESE A.S. 2019/20
REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3
Spesso sprechiamo parole, le buttiamo nel vento rendendole prive di senso o le tramutiamo in tempesta. Però, può capitare di ascoltare parole che diventano pioggia benefica capace di far germogliare nuovi semi. Venerdì 27 settembre 2019, è successo proprio questo durante la presentazione del libro “Venne alla spiaggia un assassino” (Ed. La Nave di Teseo) al Castello di Cisterna d’Asti. L’ autrice, Elena Stancanelli, ne ha discusso con la dott.ssa Nicoletta Fasano storica, ricercatrice presso l’Israt. L’incontro è stato organizzato dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano d’Asti con l’Associazione Museo Arti e Mestieri di Cisterna, la Fra Production Spa, l’Israt, le Cantine Povero distribuzione srl e l’Aimc di Asti. Elena Stancanelli è nata a Firenze, vive a Roma. È autrice di diversi libri. Nel 2016, ha pubblicato, con La nave di Teseo, La femmina nuda, candidato al Premio Strega 2016. Nell’introdurre l’incontro, Nicoletta Fasano ha sottolineato come sia necessario riappropriarsi del giusto linguaggio per parlare di immigrazione. Al contrario, nei mesi scorsi, la narrazione di questo fenomeno è stata fatta utilizzando termini impropri, quasi sempre dispregiativi e violenti. “Invece” ha continuato la Fasano “la parola è uno dei temi chiave del libro”. La prima parola è Corpi e fa riferimento a un progetto di Sandro Veronesi nato per “far entrare dentro” queste storie e pensare.“Occorre restituire corpo e anima, in senso laico, a queste persone che hanno le nostre stesse storie” ha proseguito la Fasano “Per questo motivo, è anche importante il recupero dei corpi senza vita. Ma cosa ha significato prendere parte al progetto Corpi?”. “Il libro – ha risposto l’autrice – nasce come risposta alla chiamata di Sandro Veronesi che, nel luglio del 2018, aveva scritto un appello chiedendo agli uomini di cultura di mettere i propri corpi sulle navi che effettuavano il salvataggio in mare. In quel periodo, il governo in carica aveva lanciato una guerra feroce contro le Ong accusandole di collusione con gli scafisti libici. Occorreva dimostrare che tutto ciò era falso e, per far questo, era necessario essere presenti e raccontare. Così si è formato il gruppo Corpi. Io sono partita al posto di Veronesi. Inizialmente, avrei dovuto imbarcarmi sulla Open Arms ma era stata bloccata. Però, un gruppo di persone – grazie a Banca Etica – è riuscita ad armare la Mar Jonio con personale preparato al salvataggio in mare. Sono partita il 2 ottobre 2018 per la missione di preparazione. La Mar Jonio era un rimorchiatore che è stato adeguato per il salvataggio. Alla fine, la mia avventura è continuata sulla Astral dove ho compreso bene cosa il significato del salvataggio in mare. Me lo ha spiegato Oscar Camps che ha iniziato a occuparsi di salvare vite quando glielo hanno chiesto i figli, dopo aver visto le immagini del corpicino esanime del piccolo Alan Kurdi (soprannominato Aylan). Ha messo in piedi un’organizzazione e, inizialmente, ha operato nell’Egeo dove, a Lesbo, arrivavano anche 40 gommoni a notte”. “Finalmente un’italiana!” ha esclamato per esprimere il suo apprezzamento per il fatto che la Mar Jonio fosse la prima nave battente la nostra bandiera (quindi più difficile da fermare) ma anche che ci fossero degli italiani a raccontare. Troppe, infatti, sono state le parole usate in modo sbagliato. Non è possibile, ad esempio, chiudere i porti in tempo di pace ma la violenza verbale reiterata è riuscita a far crollare il rispetto per chi fa salvataggio. Ovviamente, non ci sono connivenze con gli scafisti che, per la maggior parte, sono gli stessi operatori della guardia costiera libica. Eppure, nonostante ciò sia risaputo, non si parla ancora di modificare gli accordi tra Italia e Libia, un Paese devastato da anni di guerra civile e priva di interlocutori affidabili. La Stancanelli narra la vita sulla barca scandita dalla convivenza con estranei, da regole strane da seguire e tutto ciò ci fa comprendere quanto siano ancora più difficili altri viaggi effettuati in condizioni ben diverse. Ne risulta un bel racconto ricco della fisicità quotidiana – ha sottolineato la Fasano – ma anche della difficoltà nel salvare vite umane, fatta di gesti atletici, rapidi e coordinati. È il racconto di un “dietro le quinte”, quello che non è mai stato fatto. “Ho volutamente messo in scena me stessa – ha proseguito l’autrice – come scrittrice imbranata che si chiede continuamente perché ha accettato di partecipare. Soprattutto, mi chiedo come scrivere un libro come questo, io che non sono un’attivista. Tengo un registro leggero, mi metto in gioco ed è proprio questa la chiave per fare saltare il gioco delle parole inutili. Probabilmente, basterebbe la testimonianza diretta di uno dei salvatori nelle scuole per far scardinare tanti stereotipi. Culturalmente, dovremmo avere stima per chi salva le vite. Se una civiltà riesce a far saltare la divisione tra chi uccide e chi salva, è morta. Tutte le dittatura nascono proprio nel momento esatto in cui questo accade e trionfa il male. È possibile smontare gli stereotipi solo attraverso il ragionamento che richiede studio, intelligenza e razionalità. Bisogna conoscere e, a volte, si cerca di farlo tramite la rete che è regolata da algoritmi manipolabili. Occorre, per questo, ritornare all’informazione che, alla spalle ha delle garanzie. Purtroppo le fake news sono difficili da smontare si può riuscirci solo continuando a ragionare, ben sapendo che la stupidità è endemica nelle società”. La voce della Stancanelli si incrina quando parla dell’incontro con la prof.ssa Cristina Cattaneo che, insieme ai corpi, cerca di raccogliere oggetti per restituire dignità e storia a chi sembra cancellato dall’oblio. È una donna che conosce la prossemica del dolore e sa mettersi alla distanza giusta, esattamente come dovrebbe fare uno scrittore. È “appassionata dei morti” e dirige un laboratorio a Milano dove gestisce il riconoscimento dei cadaveri, dalla preistoria a oggi. Il 18 aprile 2015, davanti alla Libia, affonda un barcone: poteva ospitare 40 persone ma ne sono ammassate 1000. È la più grande strage conosciuta. Oggi, grazie alla Cattaneo, il relitto è esposto alla Biennale di Venezia. Chi lo visita, offre al suo corpo la possibilità di vivere e comprendere cosa significa per degli essere umani venire stratificati e chiusi senza pietà in spazi angusti e privi di sfogo. Vuol dire “entrare dentro”, proprio questo l’intento della Cattaneo, una grande scienziata capace di grazia e delicatezza infinite nel curare ciò che resta, trattandolo con umanità. Il suo grande progetto è quello di creare una Banca dati genetica ma anche di oggetti, per restituire un nome a chi, oggi, rimane un corpo anonimo. Molti, però, sono gli esempi della ricca umanità che alberga nel nostro Paese. Si tratta di persone sconosciute e semplici che, in questi anni, si sono prese cura delle sepolture di ragazzi non identificati. Portano fiori, preghiere, curano le lapidi, esattamente come farebbero per un parente caro. Non conoscono la religione del migrante ma questo non è importante. Il libro raccoglie anche molte altre testimonianze come quella di Giorgia Linardi, portavoce del Sea Watch che dice: “Non è giusto per loro ma neanche per me. Non è giusto che io, alla mia età, veda quello che ho visto. Questi ragazzi che arrivano, sono bellissimi, sono giovani, forti, hanno corpi inattaccabili. Per questo non ci sembrano mai abbastanza abbattuti e, forse, questo ci spaventa”. Manifestano una forza che abbiamo dimenticato e, accanto a loro, ci sentiamo fragili emotivamente e fisicamente. “Ci mettono davanti a un nostro io che non è più così da tempo e a un noi che è quello che siamo diventati. Invece, dobbiamo capire le nostre paure perché negarle non serve a niente” ha detto l’autrice. Elena Stancanelli, attraverso il suo libro e le parole regalate ai presenti durante l’incontro, ha saputo raccontare e “far entrare dentro” chi non era in missione con lei. È questo, forse, il senso della sua partecipazione: avere parole per raccontare, per chiamare all’appello le coscienze, per far riflettere anche tutti noi che non c’eravamo e, soprattutto, per ricordarci la nostra umanità che spesso scordiamo. Una scrittrice, una donna che lavora con le parole e le sa far muovere con cervello e cuore. Proprio quello che serviva per raccontare storie come queste, di uomini e donne, come noi, alla ricerca di un futuro migliore.
Giovanna Cravanzola