“I MITI E FILOSOFIA: CERCANDO IL CANTO DELLE SIRENE
PER COMPRENDERE L’ESSENZA PROFONDA DELLA NOSTRA ANIMA”
NE HA DISCUSSO IL PROF. ALBERTO BANAUDI AL CASTELLO DI CISTERNA D’ASTI
REGISTRAZIONE DELL’INCONTRO IN FORMATO MP3
Al castello di Cisterna d’Asti, sabato 12 ottobre 2019, il prof. Alberto Banaudi ha aperto il calendario dei nuovi appuntamenti promossi dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano d’Asti con il Museo Arti e Mestieri di un Tempo e il Comune di Cisterna d’Asti, la Fra production spa, le Cantine Povero distribuzione srl, l’Israt e l’Aimc di Asti, l’EBMA, l’Associazione “Franco Casetta”. Il prof. Banaudi è laureato in Lettere Classiche presso l’Università di Torino e in Filosofia presso l’Università di Genova. È professore di storia e filosofia al liceo scientifico “F. Vercelli” di Asti e di letterature classiche all’Utea. Oltre ad insegnare, Banaudi si dedica alla ricerca filosofica. Nel corso degli anni, ha collaborato con il Polo Cittattiva dialogando con: Alessandro Barbero, Piergiorgio Odifreddi, Pino Aprile, Massimo Ottolenghi, Tatiana Bucci, Luca Serianni e Peppino Ortoleva. Inoltre, è stato relatore di molti incontri organizzati dall’Associazione filosofica “Oron Oronta” al Castello di Cisterna d’Asti. Un gradito ritorno, quindi, per trattare “I miti e la filosofia” cioè del rapporto tra logos – il pensiero discorsivo razionale – e il mythos che rappresenta, invece, quello della narrazione fatta di intuizioni e di simboli. Si dice che la filosofia sia nata affrancandosi dal mito, quando la ragione non è stata più soddisfatta dalle spiegazioni fornite dal primo. Da anni, però, si è arrivati a un riavvicinamento: la filosofia sta riscoprendo il mythos perché, eliminandolo, diventa impossibile anche il logos. “Il silenzio delle sirene” è un racconto di Kafka del 1917 che tenta di spiegare come si è trasformato questo rapporto. “Le sirene” ha detto Banaudi “sono pura voce e hanno sempre rappresentato la potenza stessa del mito. Kafka ipotizza che le sirene conoscessero un altro stratagemma più pericoloso del canto: il silenzio. Si potrebbe ipotizzare, anche se non è mai avvenuto, che qualcuno si sia salvato dal canto ma nessuno dal loro silenzio. Quando Ulisse arrivò, le sirene non cantarono per due motivi: un avversario così potente non si poteva battere che con il silenzio. Inoltre, pare che vedendolo così tranquillo, dimenticarono di farlo. Ulisse, infatti, pensava solo alla cera che immaginava di avere nelle orecchie e alle catene che lo legavano. Non sentì, quindi, il loro silenzio perché pensava di essere stato l’unico a non aver udito il canto facendo quasi morire di sconforto le sirene che non erano riuscite a conquistarlo. Ulisse, però, era così furbo che neppure il fato poteva penetrare nel suo cuore e, forse, anche se è incomprensibile all’uomo, può darsi che sia accorto del canto delle sirene e, consapevolmente, abbia opposto loro la finzione di essersi messo dei tappi di cera. Infatti, il canto delle sirene avrebbe attraversato qualsiasi cosa e la cera sarebbe stata inutile ”. Ma Kafka sostiene anche che è impossibile che un uomo si accorga del silenzio delle sirene senza essere sopraffatto prima dall’orgoglio e, successivamente, dallo sconforto. Infatti, il canto delle sirene rappresenta la voce del mito, la sua essenza che raccoglie tutti i racconti che gli uomini hanno cercato per dare una spiegazione alle loro vite. Lo scrittore descrive un mondo diviso che, avendo cancellato il mito, è destinato alla distruzione. La filosofia, per questo, lo rivaluta da tempo anche se ha voluto anche distaccarsene. In realtà, anche quando si combatte un mito, compare un mito perché l’uomo non riesce a vivere senza di esso. Ad esempio, nasce il mito della conoscenza razionale che risolverà tutto. La voce delle sirene che tace, sta a significare che l’uomo del nostro tempo non crede più nel mito. Nell’aforisma 125 de “La gaia scienza”, Nietzsche parla di un folle che sta cercando Dio e viene deriso da tutti. Eppure, è proprio il folle l’unico ad accorgersi che sono stati tutti gli uomini a uccidere Dio. Nietzsche rideva di chi rideva della morte di Dio. Egli stesso, pur essendo ateo, non poteva credere ma non poteva fare a meno di credere e questo era il tarlo che divorava sia lui che l’occidente. Il folle si chiede perché gli uomini abbiano commesso questo errore che è stato come staccare la Terra dalla catena del suo Sole perché non si può più credere. La conseguenza è un eterno precipitare dell’uomo. Nietzsche profetizza che gli effetti di tutto ciò si vedranno solo dopo molto tempo, esattamente come accade quando la luce di una stella oramai morta, ci raggiunge solo dopo secoli fino a non arrivare più. Cosa succederà allora all’uomo? Nietzsche è stato il primo filosofo a parlare della morte del divino e ha lavorato per creare un altro mito per salvare l’Europa dal suo crollo definitivo. Quando Kafka parla del silenzio delle sirene, si riferisce proprio a questo sole che si è spento: è la morte del mito che noi chiamiamo Dio. Mito, in questo senso, è il racconto che dà significato a ciò che accade, va al di là dei concetti di falso e vero e crea un orizzonte di senso per noi uomini. Il logos se ne è distaccato ma, a partire da Vico in poi, ha dovuto comprendere che rappresentavano la grande sapienza con cui gli uomini cercavano di comprendere il mondo. “È per questo motivo che ci piace ascoltarli. Da sempre, bambini amano ascoltare storie” ha proseguito Banaudi “anche oggi potrebbero avere altri stimoli. Forse perché, quando nasciamo, ci accolgono braccia, mani, abbracci e la voce che ci parla è come quella delle sirene. Questa voce che ci abbraccia, all’inizio, imbastisce suoni che avranno un senso. È una voce che ci riveste e i vestiti sono uno dei simboli più antichi della cultura umana. Eravamo nudi e la cultura ci ha rivestiti anche metaforicamente. Il mito è come un vestito che ci accoglie e che ci dà un senso del mondo. Il bambino, così, è come se si orientasse nella vita per mezzo dei racconti che lo aiutano a esplorare il mondo. Abbiamo bisogno dei questi racconti che ci insegnano il bene e il male. Per questo, amiamo sentire storie anche perché siamo animali simbolici e abbiamo bisogno di racconti per comprendere i valori. Siamo diventati umani quando abbiamo iniziato a usare simboli come, ad esempio, nei racconti mitici. Eppure, ricchezze così grandi, riescono a stare in una narrazione così semplice da essere compresa anche dai bambini. Per questo, è bello raccontarsi perché dobbiamo raccogliere frammenti della nostra vita per dare loro un senso. Vogliamo tutti scrivere la nostra biografia ma siamo presi da mille interruzioni. In ogni caso, le persone si salvano quando qualcuno le ascolta perché, in questo modo, si sentono riconosciute. Per Kafka, il mito parla al profondo della nostra anima. Il prof. Ortoleva ha parlato dei miti a bassa intensità che sono quelli che consumiamo tutti i giorni ma quelli ad alta intensità continuano ad agire attraverso degli archetipi antichi che sono sottesi ai primi. Il rischio, perdendo il mito, è quello di “perdersi nel mito” trasformandolo in qualcosa di pericolosissimo come è accaduto nel nazismo. Oggi tutto passa velocemente, privo del “tempo vuoto”. In questa società, i miti sono come delle querce che ci fanno fermare. Al posto del mito, abbiamo sostituito il pensiero logico scientifico da un lato e, dall’altro, l’emozione veloce che non lascia traccia. In mezzo c’è il “pensare” e, quello vero, si nutre delle radici profonde dell’uomo che sono la sua carne e i suoi sentimenti. Distruggendo un mito, e sostituendolo con dei surrogati, abbiamo smesso sia di credere che di pensare. Smettendo di pensare, la tecnologia diventa teologia e questa è la forma della nostra stessa morale. Viviamo in una società dove l’economia ha preso la forma di una dittatura e la tecnologia ha dimensioni messianiche. Questo perché abbiamo perso il mito che è una mappa che ci permette di guardare l’orizzonte del nostro vivere. Chi ha compreso che non si può vivere senza mito, è stato Giovanni Falcone per cui il più importante era quello della giustizia. Dalle favole a Falcone, il mito è la sostanza profonda della nostra anima e la filosofia oggi cerca di recuperarlo. Sarebbe bello e importante, proprio per questo, recuperare lo sguardo mitico che ha ogni bambino che è ancora capace di osservare il mondo con i suoi occhi pieni di stupore”.
Alberto Banaudi, usando la magia delle sue parole, ci ha restituito il desiderio di recuperare quello sguardo bambino, luminoso, pieno di meraviglia e capace ancora di udire il canto delle sirene.
Giovanna Cravanzola