VIDEOSOFIA AL TEMPO DEL COVID
“FAUST: UN MITO FONDATIVO DELLA MODERNITÀ” CON IL PROF. BANAUDI
Dopo il successo del primo appuntamento, sabato 2 maggio 2020 si è tenuta la seconda videosofia, con il prof. Alberto Banaudi, dal titolo “Faust: un mito fondativo della modernità” nell’ambito del percorso “Vecchie e Nuove Resistenze – 7 al tempo del Coronavirus”. L’incontro è stato promosso dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese - I.C. di S. Damiano d’Asti con Museo Arti e Mestieri di un Tempo, Fra Production spa, Cantine Povero distribuzione srl e Aimc Asti.
Ogni epoca ha bisogno di un mito fondativo e Faust lo è per la modernità. Ma cos’è la modernità?
L’etimologia di questa parola significa ora, adesso ma anche nuovo: finalmente si guarda il mondo con occhi diversi. Per gli storici, inizia con la scoperta dell’ America o, forse, già alla fine del 1300 ma, probabilmente, sono diversi i momenti in cui inizia ad affermarsi perché molto lunga è stata la sua preparazione.
Con la modernità, l’infinito si immanentizza. Non è più trascendenza, non si trova più al di sopra del mondo ma al suo interno. Diventa contingente e si manifesta in dimensioni tipiche della nostra realtà. Prima, l’infinito era Dio e l’inquietudine dell’uomo era l’impossibilità di raggiungerlo durante la vita terrena. Ora diventa spaziale (infiniti i mondi da esplorare) e temporale (la storia non è più ciclo ma progresso inesauribile).
Nel ‘500 nasce il termine utopia, luogo che non c’è, dove si immaginano situazioni di vita che non appartengono a nessuno Stato esistente. Si ‘inventa’ il futuro, un tempo che non fa più paura.
Per gli antichi, invece, prediligevano il passato e la tradizione. Il sapere degli anziani era prezioso mentre tutto ciò che ancora doveva accadere spaventava perché non se ne era ancora fatta esperienza.
Con la modernità, l’infinito comincia ad essere qui e adesso: non è più aspirazione ma accessibilità. Le conoscenze si ampliano in ogni campo: non si esauriscono mai e sono raggiungibili dall’uomo. All’essere succede il divenire caratterizzato da un continuo desiderio (che arriva fino al consumismo di oggi) e dal movimento perpetuo: chi si ferma è perduto. In precedenza, invece, tutto era fermo. C’erano gli uomini e Dio, tutto ciò che mutava o si muoveva era espressione dell’imperfezione. Aristotele, ad esempio, sosteneva che il movimento fosse innaturale. Tutto voleva tornare alla quiete. Galileo, al contrario, dimostrò la naturalezza di un movimento insito nell’essere (il moto perpetuo). Così, in varie forme, il movimento (viaggio, moda, economia, biologia, politica, astronomia…) subentra all’immobilità vista come perfezione e, quindi, come immutabilità. Il viaggio, ad esempio, diventa un mezzo di conoscenza e piacere per le classi elevate. Per Seneca, al contrario, era un’inutile fuga da se stessi. Al raggiungimento di Dio tramite la rinuncia delle gioie terrene, viene sostituita l’ambizione dell’infinita conoscenza e del godimento del mondo in tutti i suoi aspetti.
L’infinito non è più Dio ma il mondo stesso.
Compaiono forme di desiderio mai viste prima:
- la libido dominandi: desiderio di dominare che nasce con la scoperta che il potere non dipende da Dio ma deriva solo dalla capacità di conquistarlo e mantenerlo;
- la libido amandi (incarnata dal mito di don Giovanni): è la necessità di vivere un desiderio di conquista inesauribile;
- la libido sciendi: fame di conoscenza;
- la libido agendi: azione incessante. L’uomo moderno è azione.
Quindi, la modernità modifica i rapporti tra uomo e infinito.
Alla luce di tutti questi aspetti, il mito di Faust è fondamentale per comprendere la modernità e, probabilmente, si ispira a un personaggio realmente esistito. Nel corso dei secoli, questo mito ha avuto finali diversi a secondo dell’interpretazione. In alcune versioni si danna mentre, in altre, si salva. Accadeva anche nel mondo greco dove molti miti erano modificati nel corso del tempo a seconda di cosa si volesse comunicare attraverso l’interprete. Così, all’inizio della modernità, l’uomo che desiderava il cambiamento, si sentiva in colpa e la sua punizione era un sacrificio che permetteva agli altri di vivere secondo una nuova visione del mondo. In queste versioni, il Faust viene dannato per sempre.
Faust, come uomo moderno, è azione sia fisica che intellettuale. È un medico, filosofo, teologo ma è stanco di conoscenze che gli appaiono sterili e inutili. Così, si rivolge alla magia attraverso la quale incontra il diavolo con cui stipula un patto: anni di potere, conoscenza, dominio e godimenti assoluti in cambio della sua anima. Rappresenta l’umanità carica di un desiderio infinito di dominare, possedere, conoscere e agire. Il senso del limite viene cancellato.
Dal ‘500 in poi, la scienza – che rappresenta la vera rivoluzione della modernità - diventa la voce della verità al di fuori della quale non c’è salvezza. La scienza è l’unica a dire qualcosa di vero sul mondo e l’umanità le si affida. Questo trapasso è stato narrato come patto con il diavolo. È come se l’umanità, rinunciando alla religione, avesse perso il senso della vita e la propria anima in cambio del potere dato dalla scienza. Quest’ultima, infatti, sembra offrire maggiore possibilità di prolungare l’ esistenza e anche di conoscere controllando la realtà.
“Mentre sembrava tutto destinato al nichilismo assoluto” ha detto Banaudi, cioè alla mancanza di senso, compare una clausola salvifica che porta a una nuova religione: l’umanesimo. L’ uomo diventa sacro e il patto con la scienza rifonda questa visione di mondo. Dio non si incarna più nell’uomo ma è l’uomo stesso a diventare Dio. Non è più la divinità a essere sacra ma gli uomini che, per questo, sono soggetti di diritti. A poco a poco, nascono i diritti umani e, in politica, la democrazia che dà voce a tutti gli uomini perché considerati di pari dignità. Partendo da questi presupposti, nel corso dei secoli, l’umanesimo ha avuto diverse declinazioni: liberale, marxista, nazista e non sono mancate le guerre per il predominio dell’una o dell’altra. Nazismo e marxismo, in seguito, hanno lasciato il posto al liberalismo al quale sta per avvicendarsi il transumanesimo.
Il Faust, nella versione di Lessing e - successivamente – di Goethe, si salva perché rappresenta i valori dell’umanità e, benchè privo di limiti, merita la redenzione poiché anela all’infinito. Per questo, il patto demoniaco lo salva anziché condannarlo alla dannazione. Per l’umanesimo, è il simbolo dell’umanità che diventa Dio. Il capolavoro di Goethe mette in scena questa contraddizione di un uomo che, pur essendo venuto a patti con il Male, conquista la salvezza. Quest’opera, la cui stesura durò sessant’anni, raccoglie esperienze e cultura di un autore che ha attraversato cambiamenti storici epocali. Faust, dopo aver studiato per tutta la vita, si accorge che tutta la sua conoscenza non serve a nulla. “Ahimè, ho studiato, a fondo e con ardente zelo, filosofia e giurisprudenza e medicina e, purtroppo, anche teologia. Eccomi qua, povero pazzo, e ne so quanto prima! Vengo chiamato Maestro, anzi dottore e già da dieci anni meno per il naso in su ed in giù, in qua ed in là, i miei scolari. E scopro che non possiamo sapere nulla! Ciò mi brucia quasi il cuore. Ne so, è vero, un po’ più di tutti quelli sciocchi, dottori, maestri, scribi e preti; non mi tormentano né scrupoli, né dubbi, né ho paura del diavolo o dell’inferno. Però mi è stata tolta in cambio di ciò ogni gioia; non mi metto in capo di sapere qualcosa di buono, non m’illudo di poter insegnare qualcosa, di saper rendere migliori o convertire gli uomini. Oltre a ciò non ho né beni, né danari, né onori, né le glorie del mondo. Nemmeno un cane potrebbe continuare a vivere così”.
Una sola cosa potrebbe soddisfare la sua sete di conoscenza… “Mi sono dato pertanto alla magia, se mai il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche segreto…”.
Così evoca Mefistofele, fanno un patto ma Faust mette una clausola: perderà la sua anima quando farà un’esperienza tale da desiderare di fermare quell’attimo. Però, il protagonista è sicuro che nulla potrà appagarlo fino in fondo perché, essendo un uomo, tende all’infinito ed è certo che nulla lo potrà soddisfare. Si salva anche perché conserva una potente umanità (l’amore per una donna, per la conoscenza, per la bellezza, per gli altri uomini…) e “… non è come Mefistofele, distruttore e nichilista…” ha sottolineato Banaudi. Infatti, soffre quando scopre che la realizzazione delle sue ambizioni causa devastazione. Per questo motivo, viene preso dagli scrupoli, dall’angoscia e diventa cieco. Alla fine, quando ormai Mefistofele si crede vittorioso, dopo una lotta tra angeli e demoni, l’anima di Faust viene portata in cielo anche grazie all’amore di Margherita che prega per lui. Per Goethe, quello di Faust è un racconto salvifico perché fa incontrare l’uomo con l’amore che chiama l’eterno femminino: non solo tensione maschile verso la conquista ma anche accettazione femminile di un amore che, dall’alto, scende a salvare. Quindi, è quasi una grazia divina rappresentata dall’incontro del maschile e del femminile che alberga in ciascuno di noi. Goethe ci invita assaporare pienamente tutto ciò che la vita ci offre cercando di vivere tutte le esperienze senza perdere l’umanità dove conquista e amore si fondono. Ricorda all’uomo che la vita è fatta di più dimensioni da contemplare.
Nel ‘900, con Mann, Faust torna a dannarsi perché la religione umanista rivela le sue debolezze che si manifestano con gli orrori delle guerre mondiali. In questo caso, il protagonista è un musicista che rinuncia alla capacità di amare in cambio del successo. Non c’è salvezza per l’uomo che rinuncia all’ amore. È l’inferno interno dell’incapacità di amare.
Per Goethe, il male è natura e parte del tutto invece, per Mann, è il gelo del non amore cioè il dedicarsi alla pura conoscenza priva di saggezza e utilità.
Il Faust di Goethe è l’immagine nuova dell’uomo moderno e rappresenta il testamento spirituale dell’autore. Il protagonista si salva perché non rinuncia, ama la vita, il mondo e non è appagato non trovando mai la definitiva conclusione del suo viaggio.
“Rimanga dunque il Sole alle mie spalle!!/Alla cascata che di roccia in roccia/ scroscia precipitando, io l’occhio affiso/ in un beato crescere di gioia./ Di balzo in balzo essa rovina: in mille/ e mille rivi riversata e franta;/ e scaglia in alto turbini sonori/ d’iridescenti spume./ Ma con quale splendor germoglia in alto,/ dal grembo di quel fervido uragano,/ nel cangiante durar della sua curva,/ l’arcobaleno variopinto!… Mèdita bene: e ne sarai piú certo./ In un’iride solo di riflessi, noi possediam la vita/”.
L’arcobaleno rappresenta l’operare umano mentre il sole è simbolo di Dio. Dargli le spalle vuol dire che, per l’uomo, è impossibile guardarlo direttamente. Però, può osservare come la sua luce si rifletta nella cascata. Non si può guardare l’assoluto in quanto tale ma lo si può vivere attraverso la sua declinazione nelle esperienze della vita. L’uomo faustiano vuole possedere l’infinito all’interno delle esperienze umane. Non dandosi pace, trova la pace e la sfida a Dio è parte di Dio.
“Ogni anelito, ogni lotta è sempiterna quiete nel Signore”.
Giovanna Cravanzola