LA GUERRA FASCISTA. DALLA VIGILIA ALL’ARMISTIZIO,
L’ITALIA NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE”
GIANNI OLIVA E MARIO RENOSIO TORNANO AL CASTELLO DI CISTERNA D’ASTI
Sabato 27/6/2020 si è concluso il ciclo di iniziative promosse - per l’a.s. 2019/2020 dal Polo cittattiva per l’Astigiano e l’Albese - con la presentazione del libro “La guerra fascista. Dalla vigilia all’armistizio, l’Italia nel secondo conflitto mondiale” (Mondadori) di Gianni Oliva che ne ha discusso con Mario Renosio (Israt). L’incontro, che si è tenuto sia in presenza al Castello di Cisterna che in videoconferenza, è stato organizzato con il Museo Arti e Mestieri di un Tempo di Cisterna d’Asti, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Fra production spa, Cantine Povero distribuzione srl e Aimc di Asti. Nell’ introdurre l’incontro, Mario Renosio ha ricordato che il 10 giugno 2020 si è ricordato l’ottantesimo anniversario della dichiarazione di guerra da parte del Duce. Un evento tragico che ha cambiato le sorti del Paese portandolo al disastro e contribuendo in maniera decisiva anche al crollo del regime fascista. Il libro di Oliva parla della guerra fascista. Spesso la narrazione tende a considerare l’entrata in guerra come piccolo errore del regime ma non trova riscontri alla prova della storia perché il fascismo era impregnato di spirito bellicista. L’Italia entra in guerra con un azzardo perché era l’ultima delle grandi potenze. Le difficoltà incontrate durante le varie campagne militari precedenti, anche contro potenze minori, avevano dimostrato che l’esercito non era in grado di reggere uno scontro bellico totale. Gli altri temi sono l’alleanza con la Germania nazista e il fronte interno con le città bombardate. Non tutti ricordano che, oltre aver partecipato alle due guerre mondiali, l’Italia ha partecipato a una serie di guerre di conquista. Alcuni ritengono che quello italiano sia stato un soldato pacifico e rispettoso. In realtà abbiamo condotto guerre di aggressione, avevamo un progetto di annessione per garantirci spazio e risorse economiche. C’è anche la narrazione dell’epopea militare: gli eroi delle ritirata di Russia e della battaglia di El Alamein… sicuramente esempi importanti di sacrificio e coraggio che, però, non devono far dimenticare che i nostri alpini stavano conducendo una guerra di occupazione e anche ideologica contro il comunismo. L’ altra ricostruzione consolatoria ritiene che la lotta partigiana abbia ripagato tutti i danni del fascismo. Stereotipi, luoghi comuni ed elementi su cui bisogna tornare a ragionare a 80 anni da quel 10 giugno e a 85 anni dalla guerra in Etiopia. Sono passate tre generazioni e credo sia giusto avere una riflessione che vada oltre queste narrazioni autoassolutorie. La resistenza è un mito europeo che gli italiani hanno conosciuto combattendola perché ovunque gli alleati nazifascisti hanno invaso dei territori, si sono trovati a dover affrontare dei movimenti resistenziali. La storia non si presta a semplificazioni. Una guerra totale ha premesse e conseguenze e anche questi temi sono stati affrontati da Oliva che ha ragionato anche sulle violenze seguite al termine del conflitto”.
Gianni Oliva, nel suo intervento ha sottolineato la differenza tra la prima e la seconda parte della guerra anche se, nella memoria comune, questi due conflitti si confondono. Ovunque c’è un monumento che mette insieme caduti in Russia e nella guerra partigiana. I primi, anche se magari non lo erano personalmente, hanno combattuto una guerra fascista mentre i secondi una guerra antifascista. I partigiani, spesso, erano stati anche alpini in Russia. Per questo motivo, non si può scrivere un’unica storia dell’ Italia nella seconda guerra mondiale ma una rispetto alla guerra fascista e l’altra rispetto alla lotta partigiana.
“Il libro – ha proseguito Oliva - considera il primo racconto che va dal 10 giugno 1940 all’ 8 settembre 1943. Dire che l’unico errore del fascismo è stato entrare in guerra è antistorico. Diciamo che l’Italia è entrata in guerra dalla parte sbagliata ma il popolo era in festa per una guerra proclamata ma non preparata. Mancavano materie prime, economia programmata e preparazione adeguate. Mussolini sapeva che l’Italia non era pronta ma la strategia di Hitler incalzava. Se non fosse entrata nel conflitto, l’Italia sarebbe rimasta uno stato marginale. Si è attaccata la Francia sperando che tutto si sarebbe risolto in pochi giorni giorni ma non fu così. Vista la durata ridotta di questa campagna, gli effetti sull’ opinione pubblica furono scarsi. Le città non erano mai state bombardate però, quando accadde, l’impreparazione risultò evidente. Inoltre, le zone alpine avevano difficoltà a pensarsi in guerra con la Francia che non era identificabile come nemica. La guerra - attesa e narrata per vent’anni - iniziò fra lo sgomento della popolazione. Il fascismo, però, non aveva ancora perso il suo fascino. Il duce si rese conto che la Germania era diventata una potenza mondiale ma pensò che l’Italia potesse ancora ritagliarsi uno spazio nel Mediterraneo. Allora pensò di fare tutto ciò che seguì ma l’ Italia rimase subalterna. Con Stalingrado ed El Alamein si decretò l’esito della guerra. Gli americani sbarcarono in Italia come salvatori. Per la prima volta, il territorio era stato invaso e distrutto in gran parte. Il re cercò di liberarsi di Mussolini ma, poi, fuggì. Il libro parla da un lato del racconto della guerra e del progressivo scollamento del fronte interno e, dall’altro, dei crimini di guerra italiani. Il mito del bravo italiano è falso ed è nato come assoluzione. Forse gli italiani sono stati meno duri ma solo perché meno efficienti. Hanno incendiato, impiccato, creato campi di concentramento. Alla fine della guerra, la narrazione collettiva voleva che l’Italia avesse vinto ed era meglio evitare indagini sulle stragi fasciste”.
Un saggio, quello di Oliva, che ha come scopo quello di collegare aspetti conosciuti che sono sempre stati presentati come separati tranne che in un lavoro di Giorgio Bocca.
“Italia e il fascismo coincidevano e dobbiamo ricordarlo insieme al fatto che la Resistenza non è stato un fenomeno nazionale mentre sull’identità fascista c’era ampia condivisione”.
Giovanna Cravanzola