“TEATRO GRECO E FILOSOFIA – 2° INCONTRO”
LA MORTE DI EDIPO E SOCRATE RACCONTATE DAL PROF. ALBERTO BANAUDI
Edipo e Socrate, mito e realtà, corpo e anima, morte e immortalità. Sono stati questi i temi trattati dal prof. Alberto Banaudi venerdì 4 dicembre 2020 nella videosofia ”Teatro greco e filosofia – 2° incontro”. L’iniziativa è stata organizzata dal Polo cittattiva per l’astigiano e l’albese, Museo Arti e Mestieri di un Tempo con Fra production spa e Aimc di Asti. Le vicende di Edipo e Socrate si incrociano in quanto hanno a che fare con la città di Delfi ma sono anche accomunati dal racconto della loro morte che è una trasfigurazione, unica, irripetibile ed esemplare perchè serve per indicare una meta, il senso della vita agli uomini. Edipo a Colono narra la morte di Edipo, è l’ultima scritta da Sofocle e chiude la grande stagione della tragedia greca classica. La scrisse quando aveva novant’anni e, forse, andò in scena dopo la sua morte. I suoi figli, vista l’età avanzata, volevano interdirlo ma egli lesse un brano di questa opera davanti ai giudici per dimostrare che non era demente. Edipo, per sfuggire al suo destino, arriva a Tebe e sfida la Sfinge ma la risposta profonda all’enigma è Edipo stesso. Ormai vecchio, cieco e stanco, viene cacciato anche dai figli. Giunge a Colono, un sobborgo di Atene che si vantava di accogliere tutti gli esuli, in un bosco sacro dedicato alle Eumenidi (inizialmente, erano le Erinni, divinità infernali e rappresentavano il rimorso di chi aveva ucciso un parente).
Gli abitanti del luogo, vorrebbero cacciarlo ma egli chiede di incontrare Teseo, re di Atene che potrebbe accoglierlo perché, dandogli sepoltura, otterrebbe la protezione per la città. Così aveva detto l’oracolo. È quasi un racconto agiografico. Edipo racconta al re di non aver agito le proprie azioni ma di averle subite. Per questo motivo, se da un punto di vista rituale ha commesso una colpa gravissima e contaminante, dall’altra non ne è responsabile moralmente. Il bosco viene descritto con amore, come tributo di Sofocle alla sua terra ma, forse, anche per parlare del mistero della vita dopo la morte. Intanto, arriva Creonte - nuovo re di Tebe - gli rapisce le figlie per costringerlo a tornare. Tutti sono consapevoli della profezia e, per questo, anche i figli lo cercano ma Edipo li maledice. Non c’è traccia d’amore per lui in loro ma solo egoismo. Si uccideranno l’un l’altro dando luogo ad un’altra tragedia, Antigone scritta dallo stesso autore molti anni prima. Le riflessioni di Edipo sulla vita sono terribili. Chi vuole avere troppo, e troppo a lungo non può che soffrire. Meglio la morte che le sofferenze. Meglio non essere mai nati o morire presto. La morte è la soccorritrice uguale per tutti. Poi, all’improvviso, scoppia un tuono e si ode una voce. Edipo fa chiamare Teseo come testimone del grande evento: la sua morte. Si deve compiere il suo destino. Nel teatro greco non si poteva rappresentare la morte ma solo narrarla. Sofocle, però, fa dire al messaggero che neppure lui ha potuto esserne il testimone perché tutto è stato avvolto nel mistero e nessun uomo ha potuto vedere tranne il re di Atene. Infatti Teseo è l’unico che deve vedere la morte di Edipo. Quindi è il racconto di qualcosa di inaccessibile ma si narra che, anche se cieco, Edipo va solo verso la sua morte. Sa vedere nel buio ciò che nessuno sa vedere: la forma del divino. E prodigiosa è la morte di chi muore sorridendo perché lascia ogni dolore. La morte di Edipo scritta da Sofocle, ci riappacifica con la morte ma anche con la vita.
L’altro personaggio legato con un filo ad Edipo, tramite la città di Delfi, è Socrate. Nel Fedone, Platone descrive le sue ultime ore. Però, già nell’Apologia, Socrate – attraverso le parole dell’autore - sosteneva che era stolto temere la morte perché nessuno sa cosa ci sarà dopo. Potrebbe dire finire nel nulla, in un sonno infinito senza sogni e senza dolore. Oppure, la vita potrebbe continuare. Non credeva che gli dei gli avessero preparato una punizione perché aveva vissuto bene onorandoli. Il premio, nell’altra vita, sarebbe stato quello di continuare quello che stava facendo. Platone ne racconta la fine circondato dai suoi allievi attraverso un dialogo inventato. E, forse, quel giorno con il condannato non c’era proprio nessuno perché erano vietati i contatti nel giorno dell’esecuzione. Comunque, è un dialogo geniale. Tutti sono disperati per la fine che Socrate farà di lì a poco… tranne lui. Non convince i suoi amici che la morte non è grave perché la sua anima è immortale solo il suo corpo non lo è. È un involucro, la tomba. È certo che ciò che verrà sepolto di lui sarà solo questo perché la sua essenza sarà altrove. Come Edipo, Socrate si lava prima della morte trattando il proprio corpo come già fosse cadavere. Quello che avrebbero visto, da lì a poco, i suoi allievi, non sarebbe stato nulla. Attraverso queste parole che trasmettono serenità, Platone sta fondando la metafisica occidentale e sta parlando dell’ immortalità dell’anima. Per questo, il Fedone è una tragedia commedia perché finisce bene. Edipo e Socrate, con gesti e parole, restituiscono forza e coraggio per intraprendere, senza paura, il loro viaggio più lungo verso l’infinito.
“Due morti misteriose, quelle di Socrate ed Edipo, che aprono il pensiero greco tragico e filosofico a una dimensione ‘altra’. Platone avevano compreso che un discorso come quello dell’immortalità dell’anima non poteva essere affidato solo alle argomentazioni razionali ma ha voluto affidarlo alla drammaturgia, ai gesti e alla testimonianza di Socrate. L’‘Edipo a Colono’’ dimostra che c’è una via d’uscita” ha concluso Banaudi.