“Un libro di piccole dimensioni ma molto significativo. Un mondo che appare lontano ma che ci è molto vicino. Da un lato la complessità e, dall’altro, una storia basata sulle stagioni, le migrazioni dei nomadi e la difficile convivenza con gli agricoltori. Una cultura giunta fino a noi anche attraverso la magia dei racconti dei geografi e viaggiatori arabi” così Edoardo Angelino ha definito “Il grande gioco del Sahel. Dalle carovane di sale ai Boeing di cocaina” (Ed. Bollati Boringhieri) di Marco Aime e Andrea De Georgio che è stato presentato in videoconferenza sabato 27 novembre 2021 all’interno del percorso “Vecchie e nuove R-esistenze:… ancora Riconnessioni_4” organizzato da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’ Albese - I.C. di San Damiano con Comune e Museo di Cisterna, con Fra Production Spa, Lib. “Il Pellicano”, Aimc di Asti e – con l’iniziativa #bottiglieperlacultura - con Cantine Povero distribuzione srl, Azienda agricola Vincenzo Bossotti, Azienda Agricola Cà di Tulin. “Mi occupo da 30 anni di Sahel, che significa ‘riva, perchè era la sponda del deserto – ha detto il prof. Aime - è difficile definirlo dal punto di vista politico perchè non è uno Stato. Potrebbe essere classificato per la piovosità scarsa perchè si trova a sud del deserto del Sahara oppure come luogo di incontro tra culture tradizionali dell’Africa e il mondo islamico arrivato qui nell’anno 1000. E’ stata una zona centrale anche per i commerci europei perchè qui arrivava gran parte dell’oro. Per questo è stato al centro di ricchezze immense che arrivavano in Europa con commercianti genovesi e veneziani che, a loro volta, le ottenevano tramite I mercanti ebrei di Majorca. Infatti era vietato ai cristiani commerciare direttamente con il mondo musulmano. Poi le rotte commerciali sono diventate oceaniche spostando gli scambi sulle città costiere. Inoltre arriva in zona una serie di cambiamenti climatici sia per colpa dell’ uomo che dell’ambiente. L’uomo, infatti, introduce culture intensive e monoculture che hanno impoverito il terreno facendo avanzare il deserto”. Oggi il Sahel è una cicatrice sul mondo da molti punti di vista. Innanzitutto per la radicalizzazione religiosa. In epoche antiche, invece, il Sahel non era solo importante a livello commerciale ma anche culturale. A Timbuctu c’erano già due università avanzate in epoche lontanissime. Era una città colta, aperta (era presente anche una sinagoga) e, grazie all’ Islam, si era diffusa la scrittura. Si trattava di una religione che, per secoli, è sempre stata pacifica. L’Islam, però, è adattabile alle situazioni. Da 30 anni, invece, la pressione dell’Arabia Saudita ha condotto alla radicalizzazione dell’Islam. Il Paese ha finanziato la costruzione di moschee dove viene predicata una religione integralista alla quale i vecchi imam si sono sempre opposti. A questo si aggiunge la crisi climatica: il lago Chad si è ridotto del 70% creando un impoverimento generale. In queste condizioni è molto facile reclutare e addestrare terroristi come dimostra la strategia di Boko Haram. In altri casi, si è agito dal basso puntando sull’inasprirsi delle dispuste tra pastori e agricoltori e causando conflitti con centinaia di morti. Eppure nel medioevo il Sahel trasportava merci preziose (il deserto filtra il lo attraversa solo ciò che è di valore). Transitavano: oro, avorio e, soprattutto, schiavi. I jihadisti di oggi, grazie ai tuareg, controllano rotte sahariane e scortano aerei che partono dalla Colombia carichi di droga, tabacchi, sigarette di contrabbando… diretti a nord. A volte il carico comprende dei migranti ed è per questo che il Sahara si è trasformato in un cimitero con un numero incalcolabile di morti. Infatti, se intercettati, i camion lasciano la gente nel deserto a morire mentre la cocaina, per la maggior parte, arriva da noi. Con la sconfitta dell’Isis, molti combattenti si sono spostati verso il Sahel dove c’è un’internazionale jihadista difficilissima da combattere anche perchè il deserto è enorme e incontrollabile. In ogni caso, pur considerando tutto ciò, questi traffici possono accadere solo con la connivenza dei governi nazionali ed è anche per questo che la situazione è sconfortante. Oggi anche noi siamo responsabili di tutto questo perchè non ci siamo opposti all’attacco in Libia e non abbiamo lavorato per aiutare la ricostruzione ma anche il consumo di cocaina finanzia il terrorismo. Inoltre siamo legati a questo luogo anche per l’approdo dei migranti che, per il 70%, sono costretti a partire a causa di motivi ambientali. Per questo si dovrebbe lavorare non per fermare questi flussi ma per risolverli con la consapevolezza che il 50% degli africani è giovanissima: una bomba demografica che bisognerebbe gestire. Il Sahel è al centro di tutto ciò ma anche degli interessi internazionali, soprattutto di Francia e Cina. Purtroppo, dopo la fine della colonizzazione, un grande problema sono i governi locali incapaci e autoritari. Si tratta delle cosiddette democrature, governi deboli e corrotti. Tutto ciò determina anche la povertà della popolazione africana che, sovente, vive in Paesi ricchissimi di materie prime, ricchezze che, però, vengono drenate da una classe dirigente corrotta. Per tutti questi motivi, oggi nel Sahel si sta peggio di quando c’era colonizzazione. La scarsa alfabetizzazione della popolazione, inoltre, non favorisce la sua rappresentanza e questo la rende ancora di più controllabile. Nel libro, però, ci sono anche molti spunti che danno speranza come la nascita di esperienze collegate alle nuove tecnologie e al terziario. Il cambiamento potrà venire solo dai giovani e dalle donne anche per evoluzione rispetto a tradizioni ancestrali e terribili. Da almeno 13 anni gran parte popolazione vive nelle città abitate in gran parte dai giovani e tutto ciò cambia i rapporti generazionali. Infatti, tradizionalmente, la cultura veniva trasmessa dagli anziani oggi, però, la sproporzione è tale che non sarebbe possibile a livello numerico. Le nuove generazioni si basano sui rapporti tra pari anche attraverso social e rete che favoriscono la circolazione delle idee. Questo può determinare la spinta a partire ma anche a restare per migliorare la propria terra. Solo sostenendo queste esperienze un giorno si avranno nuove classi dirigenti: preparate e democratiche. Ci sono buoni motivi per sperarlo.
Giovanna Cravanzola