Come riuscirono a tornare a casa gli ebrei sopravvissuti alla devastazione dei campi?
Elisa Guida se n’è occupata nel saggio “La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah” (ed. Viella) che è stato presentato giovedì 17 febbraio 2022 alle 18 (meet). L’autrice ne ha discusso con la Nicoletta Fasano (Israt). L’incontro è stato organizzato da Polo Cittattiva per l’ Astigiano e l’ Albese – I.C di S. Damiano, Museo di Cisterna d’Asti, Israt, Associazione “Franco Casetta” con Fra production spa, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti.
“Si tratta di un libro di cui si sentiva la mancanza perchè è un tema di cui si parla troppo poco. Durante gli incontri con i testimoni spesso si sorvola su ciò che accadde loro dopo la liberazione. il libro di Elisa Guida, proprio per questo, è un prezioso contributo perchè, perchè, utilizzando testimonianze e documenti, ricostruisce i ritorni sia della Shoah ma anche di altri tipi di deportazione come quella dei prigionieri di guerra” ha detto in apertura Nicoletta Fasano.
Il libro mette in luce anche il dettaglio della disorganizzazione di questi ritorni e la difficile gestione dei rientri da parte dei diversi Stati, in particolare dell’ Italia. Molto spesso i prigionieri rimangono ancora per lungo tempo nei campi liberati spesso senza comprendere a pieno ciò che sta accadendo. Infatti sono molte le difficoltà per il loro ritorno soprattutto perchè non si tratta solo di prigionieri militari ma anche civili. In questo quadro caotico – ha sottolineato la Guida – una fiumana di persone si sposta e, tra questi, tantissimi italiani che tentano di ritornare. il libro è dedicato ai sopravvissuti della Shoah senza decontestualizzarla perchè non era possibile raccontare questi rientri se non insieme a quelli di tutti gli altri. Tra loro i prigionieri delle guerre fasciste che, da un lato, si nutre il desiderio di non far tornare per il timore che raccontino cos’è il comunismo. I militari italiani, essendo stati catturati a partire dall’8 settembre ‘43 dai nazisti, inoltre, non rientrano nella Convenzione di Ginevra. Nonostante tutto, scelgono di non combattere ed è un incredibile atto di resistenza mai raccontato abbastanza. Occorre anche considerare che i prigionieri vengono liberati da due eserciti diversi (americano e sovietico) e, anche se il primo campo di concentramento è li-berato nel gennaio del ‘45 ma la guerra in Europa finisce a giugno. questo periodo, come ha scritto Levi ne “La tregua” è di sospensione. I prigionieri italiani devono tornare con i propri mezzi perchè lo Stato non andrà a prenderli.
Al contrario, tanti altri governi andranno a prendere i propri deportati politici tributando loro tutti gli onori che si devono agli eroi. Invece l’ Italia li dimentica cercando, a partire da quel periodo, a rimuovere la storia e le proprie responsabilità mettendo sullo stesso piano esperienze diversissime.
Inoltre, nella definizione di reduce (che determina anche chi ha diritto a un indennizzo) non rientrano i deportati ebrei. La loro esperienza viene omologata a quella di altri pur essendo unica perchè ha avuto come obiettivo il loro sterminio. La sete di futuro stende un velo su queste vicende: verrà sollevato solo nel ‘61 con il processo Eichmann.
Così gli ebrei tornano a piedi, camminando per giorni, settimane, mesi però, in questa mancanza di solidarietà politica, ne nasce una dal basso. Per questo, dopo aver vissuto esperien-
ze orribili, tornano aiutandosi cosa che non sarebbe mai potuta accadere nel lager.Si torna ad essere persone solidali: il più forte aiuta il più debole.
Nonostante questo, nei primi periodi della liberazione, continuano a sentirsi prigionieri in una sorta di smarrimento dell’anima.
Dal ‘42 era nota la condizione dei campi ma l’urgenza non era quella di liberarli ma di terminare la guerra. Ci si adopera, successivamente, a mettere in salvo i superstiti ma le risorse messe in campo sono infinitesimali rispetto alle necessità. Tutti gli altri prigionieri sono costretti alle marce della morte per eludere il nemico, sfruttare ancora la mandopoera schiava ma anche per non lasciare tracce.
La liberazione, arrivata in tempi e modi diversi, causa in tutti una tremenda sofferenza perchè il corpo e le forze ritrovate fanno ritornare pensieri e ricordi.
Il ritorno trova ad accoglierli anche un enorme senso di colpa buttato addosso da chi non comprende la loro esperienza. Da tutto ciò nasce il silenzio.
Però, con la libertà, torna anche senso della vita e il rapporto con gli altri. In queste circo- stanze sono più forti i deportati politici: sono spesso più maturi e hanno un’ idea diversa del mondo, sono più attivi e sono proprio loro che organizzano il rimpatrio. In questa situazione generale, le donne sono ancora vittime di violenza perchè un trattato di pace non basta per finire la guerra: è un presupposto ma non è cultura. Sovietici, americani… in modo diverso – con la forza o in cambio di cibo - violentano molte di queste donne già offese nel corpo e nell’anima. Però gli uomini aiutano le donne a tornare e i più grandi aiutano i più piccoli.
Questi ultimi come arrivano? In Italia tornano solo 6 bambini su 2000 deportati, tutti aiutati da qualche adulto.
Il lavoro di Elisa Guida – ha concluso Nicoletta Fasano - restituisce a tutte queste persone un nome e la propria umanità. Solo una ricerca attenta e sensibile riesce a fare tutto questo.
Giovanna Cravanzola