Un’emozione. Così Angelo Bottiroli ha definito l’incontro con Gherardo Colombo per la presentazione di “Una Vita Vale Tutto” (Garzanti). L’iniziativa, che si è tenuta in videoconferenza il 13 Gennaio 2023, è stata promossa da Polo Cittattiva per l’ Astigiano e l’ Albese – I.C. di S. Damiano, Museo Arti e Mestieri di un Tempo e Comune di Cisterna d’Asti con Fra Production Spa, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti.
Gherardo Colombo è stato magistrato ed è noto per aver condotto, o contribuito a condurre, inchieste importanti sul crimine organizzato, la corruzione, il terrorismo e la mafia, tra cui la scoperta della Loggia P2 e Mani Pulite. Oggi è vicepresidente della casa editrice Garzanti. Ha pubblicato diversi libri nei quali mette la sua esperienza di magistrato al servizio di una divulgazione attenta e scrupolosa dei concetti di democrazia, giustizia e cittadinanza.
Angelo Bottiroli, già dirigente scolastico a Tortona, è un formatore e, dagli anni Settanta, è uno dei più attivi innovatori della scuola e della didattica.
Il libro ha alle spalle una storia iniziata nel novembre 2018. Si vogliono salvare vite umane nel Mediterreneo ma difficoltà sono grandi già in partenza (e proseguono con la pandemia e non solo). Finalmente, nell’ agosto del 2019 ResQ mette in mare un nave molto vecchia. Tra i promotori c’è anche l’amministratore delegato di Garzanti che propone di fare qualcosa per raccogliere fondi destinati alle missioni. Il tema del libro è quello della salvezza interpretato, attraverso dei racconti, da diversi autori: Alessandro Bergonzoni, Andrea Vitali, Vito Mancuso, Cristina Caboni, Antonella Frontani, Nicola Gardini, Enrico Galiano, Alice Basso, Silvia Celani, Anna Dalton, Valeria Usala.
Il problema di fondo, all’origine della tragica situazione dei migranti nel Mediterraneo, è che gli stranieri per i quali non sono garantiti i diritti umani nel proprio Paese, dovrebbero trovare accoglienza nel nostro come stabilisce l’art. 10 della Costituzione. Purtroppo – come ha sottolineato Colombo – ciò non avviene perchè quest’ultima è tradita da altre leggi che sono disposizioni normative. Così lo straniero incontra l’ingiustizia prima ancora di arrivare in Italia dove, sovente, non riesce neppure ad approdare.
“Io cercavo giustizia – ha proseguito Colombo – e mi sono dimesso 15 anni e mezzo fa proprio per questo. Troppe contraddizioni del nostro sistema. Così ho deciso di andare a fare ciò che è particolarmente utile per proseguire sulla strada della giustizia: andare nelle scuole a dialogare con i ragazzi”.
Il libro, come lo ha definito Bottiroli, è un’ armonia disarmonica, colmo delle tante differenze che si trovano tra scrittori anche molto diversi tra loro come Bergonzoni e Vito Mancuso. Il primo scrive che nella parola donazione c’è dono e azione. Mancuso, invece, sottolinea che il termine benedizione significa che occorre dire il bene e poi farlo perchè, se non c’è il dire, non c’è neppure il fare. La donazione, infatti, è il punto di partenza perchè corrisponde al riconoscimento dell’altro. Si dona quando si è convinti dell’esistenza di qualcuno altrimenti, se non si coglie, non si intesse una relazione. Il dono, proprio per questo, è un’azione e avviene solo se riconosco nell’altro un altro me ma tutto ciò richiede elaborazione del pensiero. La benedizione, invece, è fare in modo che, attraverso la propria parola emerga il pensiero.
Cristina Caboni, invece, narra della mamma afgana che affida la figlia a una persona che può partire. In questo caso le parole sono affidamento e allontamento. I genitori, in situazioni normali, affidano propri figli alla scuola e li allontanano da sè. In Italia, ad esempio, dal ‘46 vennero allontanati dei bimbi dal sud per affidarli a famiglie del Nord Italia. Affidamenti e allontanamenti hanno tempi diversi: in situazioni consuete, sono brevi mentre in casi di necessità diventano molto più lunghi.
“Purtroppo – ha detto Colombo – sono allontamenti spesso defiinitivi ma sono il contrario dell’abbandono perchè servono a salvare questi bambini. Negli anni 50, non era come adesso. Molti bimbi andavano in collegio e l’allontanamento dai genitori erano diffuso. In quelle stesse situazione, altri bambini in Sicilia venivano mandati a lavorare lontano nelle miniere di zolfo. Oggi si fa fatica a capire queste dinamiche perchè il mondo è cambiato”.
I minori non accompagnati hanno una vita difficile e il loro percorso è diverso dei bambini italiani del ‘46 perchè questi ultimi venivano accolti all’interno di famiglie. Per i piccoli migranti, invece, l’unica alternativa è una struttura.
Purtroppo, nei documenti, si utilizzano tante definizioni per definire i migranti ma non vengono riconosciuti come persone. Quando arrivano non sono considerati clantidestini, vengono identificati. Una commissione li esanima e si stabilisce chi ha diritto all’ asilo e chi no. Questi ultimi possono ricorrere all’autorità giudiziaria. Se l’esito è ancora negativo, si diventa fantasmi.
Prima, durante il periodo in cui sono sistemati nei centri di accoglienza, i diritti vengono garantiti provvisoriamente. Viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio che, ovviamente, è eliminato in mancanza dei requisiti di idoneità. Purtroppo, però, molti migranti non conoscono quali sono i propri diritti.
Aiutare queste persone significa anche aiutare se stessi ma solo se lo si fa uscendo dall’ottica della propria superiorità. L’unico modo, oltre a riconoscersi nell’altro, è avere coscienza che l’uguaglianza non significa essere tutti identici ma poter accedere alle stesse opportunità. Su questo è possibile intervenire se lo si vuole.
La Costituzione, all’art. 3, lo sottolinea ma è compito di tutti trasformare le parole scritte in realtà.
Giovanna Cravanzola