Venerdì, 24 Febbraio 2023 | Scritto da: didattica

La zattera della bellezza. Per traghettare il “principio di piacere” nell’avventura educativa” (Erickson) è il titolo evocativo del bellissimo saggio del prof. Marco Dallari che ne ha discusso con il dott. Angelo Bottiroli, in videoconferenza, il 9 marzo 2023 alle 18. L’incontro era inserito all’interno del calendario di appuntamenti “Vecchie e nuove R- Esistenze – Art. 3_9: uguali e diversi” ed è promosso da Polo Cittattiva per l’ Astigiano e l’ Albese – I.C. di S. Damiano, Museo Arti e Mestieri di un Tempo e Comune di Cisterna con Fra Production Spa, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti.

Marco Dallari, già docente di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, dal 1997 è professore ordinario di Pedagogia Generale e Sociale all’Università di Trento, dove ha fondato e dirige il Laboratorio di comunicazione e narratività. È condirettore della rivista «Encyclopaideia», redattore della rivista «Infanzia» e della rivista d’arte per ragazzi «DADA».È inoltre autore e curatore di libri per ragazzi.

Angelo Bottiroli, già dirigente scolastico a Tortona, è un formatore e, dagli anni Settanta, è uno dei più attivi innovatori della scuola e della didattica che ha iniziato a porre alcuni interrogativi all’autore a partire dal titolo. “Perché una zattera, e non un battello o un altro
natante più sicuro? Una zattera non è un comodo mezzo di trasporto per andare da
una località ad un’altra, ma una struttura di salvataggio per salvarsi da un naufragio.
Dove e perché sono naufragati i nostri alunni e studenti? Chi o cosa ha causato il
naufragio? E poi c’è la bellezza: il suo libro ricorda diversi altri studiosi, filosofi,
pedagogisti, ma anche molti artisti, pittori, cantanti, registi, scrittori, poeti, che lei
chiama “ambasciatori della bellezza” e che ci hanno proposto delle ‘bellezze’ nel
corso dei secoli e fino ai nostri giorni. Tutto questo mi ha richiamato il libro di Edgar
Morin “I ricordi mi vengono incontro”. In questo corposo volume di 700 pagine,
concluso nel 2019 e pubblicato in Italia nel 2020, l’autore ricorda la propria
adolescenza nell’ultimo capitolo, e la ricorda come accesso all’arte, alla musica, alla
letteratura, al cinema, al teatro ed alla politica. A molte bellezze, mi viene da
commentare. E allora che cosa è la bellezza? E potremmo considerarlo come un
nome collettivo, se dovessimo farne un’anomala analisi grammaticale?”
ha chiesto Bottiroli.

L‘impressione – ha detto Dallari – è che la zattera sia a rischio naufragio perché la scuola non investe più in speranza rimanendo in un atteggiamento di difesa. Mancano le associazioni che, un tempo, permettevano di riconoscersi in un’idea di scuola. Oggi c’è abbandono implicito e i ragazzi non trovano né il senso di quello che fanno né sicurezza. La zattera è un precario strumento di salvataggio ma o ci saltiamo sopra o anneghiamo. Morin ci dice che, prima di fare qualcosa bene, occorre innamorarsene perché, prima dell’amore, c’è la seduzione. Per questo bisogna risedurre i giovani sul fatto che valga la pensa ritrovare il piacere di scoprire e di imparare. La bellezza fa parte della seduzione perché, quando incontriamo quando qualcosa o qualcuno che ci colpisce, la bellezza ci fa sentire diversi, ci altera ormonalmente e moralmente. Gli intellettuali la trovano anche nelle manifestazioni culturali. Per i giovani è un mondo che va svelato e il primo compito dell’educatore far apparire queste epifanie ma non si appassiona se non si è appassionati”.

Però - come ha sottolineato Bottiroli - sulla zattera gli studenti non sono soli. C’è un nocchiero, un traghettatore, e insieme a lui una guida luminosa che sospinge la nostra zattera verso nuovi approdi e ripartenze. Questa guida è il desiderio, e l’insegnante-educatore ci porta dallo spazio delle pulsioni a quello dei desideri (pag. 96), dalla dimensione naturale a quella culturale. Nel desiderio interagiscono natura e cultura, e secondo Morin noi siamo 100% natura e 100% cultura. Può approfondire questo passaggio dalle pulsioni ai desideri?”.

La pulsione – ha commentato Dallari - è fenomeno biologico che ci accomuna agli altri mammiferi e ci spinge verso la vita. Un neonato non prova desiderio di essere allattato ma avverte un senso di mancanza (pulsione) e manda dei segnali. Chi si occupa di lui, sa che a quel segnale va risposto con una coccola, l’ allattamento e la cura. Successivamente, questo segnale diventa desiderio perchè attiva la consapevolezza di ciò che fa star bene ma serve qualcosa per attuare questo passaggio. La pulsione è naturale ma il desiderio dipende dalla cultura di appartenenza. Nel momento in cui interveniamo come educatori rispetto al sapere, occorre porgere questi alimenti della mente ai ragazzi. Però bisogna essere consapevoli che si deve attivare in loro stesso meccanismo che li fa passare dal piacere dell’allattamento a qualcosa di aereo e culturale che prima non c’era e che li fa star bene.

La scuola – ha detto Bottiroli - è un ambiente educativo di apprendimento che le/gli
insegnanti devono anche organizzare per favorire la formazione, educativa e
culturale, di tutti. In questo ambiente, lei sostiene, l’insegnante deve
“mettere in
campo attività che gli alunni compiono da soli, individualmente o in situazione
cooperativa, a partire dalle attività di ricerca”
. Per organizzare ambienti
(classe e laboratori) e attività, non è forse necessario che anche gli insegnanti,
singolarmente e in gruppo, siano insegnanti ricercatori?

Gli insegnanti devono essere curiosi, ricercatori, quelli che si autoformano rispetto alle loro curiosità e al loro principio di sapere. Chi prova tutto ciò, contagia gli alunni in questo piano di soddisfacimento. Gli insegnanti devono cercare la bellezza – ha proseguito Dallariquelli universitari aumentano le loro conoscenze ma non frequentano corsi di formazione. Mi sembra offensivo che i docenti di altri ordini debbano essere formati ma non viene loro riconosciuto il diritto/dovere di compiere ricerca sia a livello cognitivo che estetico”.

La ricerca per gli insegnanti, però è necessaria anche per “mettere al centro del
processo formativo la strutturazione dell’identità personale”
degli alunni,
per personalizzare il curricolo, favorire scelte personali degli studenti, preferenze …
Dallari suggerisce, ad esempio, di assegnare compiti a casa e per le vacanze scelti dagli
alunni, perché possano lavorare in autonomia, senza aiuto di adulti, su quello in cui
riescono meglio. Infatti, a suo avviso, assegnare compiti, significa spesso delegare ai genitori che se lo possono permettere di fare a casa un compito gravoso. I compiti sono utili ammesso che siano esercizi di autonomia e di piacere produttivo. Il compito autoscelto è la misura di consapevolezza di qualcosa che può indicarci la via e che si inizia a sperimentare fin da giovani.

A volte, però, le esperienze scolastiche possono essere negative e far provare ai ragazzi “l’impotenza appresa” quando, in uno studente, lo sbaglio riconduce il suo fallimento alla
propria incapacità e all’impossibilità di non poter far nulla per cambiare le cose. Le conseguenze sono il blocco e l’impotenza: non riesce più ad imparare.
“Come si possono incoraggiare gli studenti che sbagliano, evitando di renderli impotenti?” ha chiesto Bottiroli.

Gianni Rodari, per il prof. Dallari, ha dato la migliore risposta a questa domanda. Non bisognerebbe sanzionare l’errore ma farlo diventare occasione di pensiero divergente. L’estetica dell’errore dovrebbe incoraggiare verso un atteggiamento di rischio senza la paura della punizione.
“In un capitolo, lei cita il libro di Irene Baldriga, “Estetica della cittadinanza per una
nuova educazione civica”, riportando una citazione che riguarda l’importanza
dell’esperienza, dell’uscire dalle mura della casa e della scuola, “accumulando ricordi
ed emozioni”. Anche un’educazione disordinata è un invito alla sovversione? E se sì, in quale senso
secondo lei?”
ha chiesto Bottiroli.

È necessario – ha detto Dallari – chiarire il significato di “educazione disordinata” perchè, molto spesso, per ordine si intende l’uniformità che pretende che tutti facciano la stessa cosa che è la risposta del vecchio mito pedagogico dell’uguaglianza che non rispetta la soggettività. Il disodine è ciò che valorizza le differenze e le soggettività. Nelle classi, infatti, dovremmo portare non solo le differenze culturali ma anche individuali. Proprio questa sarebbe l’educazione al rispetto delle differenze che si incontrano senza perdere la parte identitaria di ciascuno.
Una scuola riflessiva, di senso e di qualità nella quale gli insegnanti dovrebbero riappropriarsi della propria identità imparando a lavorare insieme in un progetto unitario per la costruzione del sapere.

Concludo – ha detto Bottiroli - con una sua frase: “conoscere significa interpretare, formulare scelte e giudizi, collegare, in una parola pensare” (pag. 218) e con un romanzo.
Nel romanzo di Sara Fruner, “L’istante largo”, Macondo è un adolescente che ha avuto tre madri e che vive con una nonna artista. A cinque anni Macondo aveva posto
alla nonna questa domanda: “Ma l’arcobaleno, quando noi non lo vediamo, esiste lo stesso?”. La nonna non gli risponde, ma diversi anni dopo gli scrive: “La mancanza di risposte non ti vieti mai di porti domande” (pag. 250). E’ una frase che potremmo appendere in ognuna delle nostre classi, anche se forse il ministro Valditara la considererebbe impropria.

Giovanna Cravanzola

CONSIDERAZIONI E BIBLIOGRAFIA

di ANGELO BOTTIROLI

In riferimento al capitolo “Brutto” de “La Zattera della bellezza” (Erickson) del prof. Marco Dallari, a me pare che il brutto non sia solo nell’arte, ma anche nella storia, passata e presente, e che anche qui imponga a volte la propria egemonia.

Pensiamo alle guerre, di cui il lucido centenario Morin si è occupato nel suo ultimo
piccolo libro
“Di guerra in guerra”, ora pubblicato anche in Italia. Un libricino che
nelle nostre aule potrebbe suggerire molte ricerche sugli ultimi 80 anni di guerre in
Europa, a partire dalla frase
“la guerra del Bene comporta in sé del Male” (pag. 24).
Cosa pensano i nostri alunni e studenti della guerra? Come se ne occupa la scuola?
Prima di una sua riflessione mi permetto di raccontare a lei e a chi partecipa a questo
incontro il risultato di una piccola ricerca storica, che mi è stata sollecitata dalla
lettura di un romanzo, edito quest’anno, dello scrittore grossetano Sacha Naspini,
“Villa del seminario”.

Siamo nel 1943. Il 28 novembre di quell’anno il vescovo di Grosseto, Mons. Paolo
Galeazzi, sollecitato dal prefetto Alceo Ercolani, affitta ai fascisti un’ala del
seminario estivo della diocesi, che si trova nella piccola frazione di Roccatederighi,
in comune di Roccastrada, perché diventi un “campo di concentramento ebraico”,
come si legge nel contratto di locazione. L’affitto viene stipulato
“in prova di speciale
omaggio presso il nuovo governo”
, che è il governo di Salò, costituito da Mussolini
poche settimane prima. Il campo resterà attivo fino al 9 giugno 1944, vi saranno
internati un centinaio di ebrei, 38 dei quali verranno successivamente mandati ad
Auschwitz. La storia prosegue così: quando Grosseto viene liberata il vescovo chiede
al nuovo prefetto di pagare l’affitto di 5.000 lire al mese, come previsto dal contratto,
ma il prefetto rifiuta. Dopo la guerra il vescovo Galeazzi rimarrà al suo posto fino al
1960. Alceo Ercolani, invece, il 22 marzo del 1944 sarà responsabile dell’uccisione di
11 giovani, dopo la guerra verrà processato e condannato a 30 anni di carcere, ma nel
1953, dopo soli 7 anni, verrà rilasciato.

Nota a margine della mia piccola ricerca

Consultando internet, ho saputo che la vicenda del seminario è stata scoperta una ventina di anni fa dalla prof. Luciana Rocchi, direttrice dell’Istituto Storico della
Resistenza di Grosseto, che ha trovato una copia del contratto di locazione.
Dai giornali locali ho appreso inoltre:

- che il 28 gennaio 2008, Giornata della Memoria, è stata deposta una lapide vicino al seminario, su proposta del medesimo Istituto, lapide sottoscritta anche dalla diocesi di Grosseto, dalla comunità ebraica di Livorno, dal Comune di Roccastrada, dalla Provincia e dal Comune di Grosseto;

- che il 10 febbraio 2022 il nuovo sindaco di Grosseto, Antonfrancesco Vivarelli
Colonna, ha inaugurato a Grosseto una piazza intitolata al vescovo Paolo
Galeazzi. E’ il Giorno del Ricordo e il sindaco non fa alcun riferimento al campo di internamento ebraico, ma ricorda una studentessa istriana vittima delle foibe nel 1943
“simbolo di una delle pagine più buie della storia italiana”;

- che il 30 giugno 2022 viene deposta in piazza Mons. Paolo Galeazzi una nuova targa, alla presenza del sindaco e del vescovo, Mons. Giovanni Roncari, che dichiara: “in contesti storici diversi ogni vescovo – a partire dal vescovo Paolo – ha fatto sì che il messaggio del vangelo si traducesse in scelte di sviluppo umano”.

LIBRI CITATI
Marco Dallari, La zattera della bellezza, Il Margine, Trento, 2021
Chandra Candiani, Questo immenso non sapere, Einaudi, Torino, 2021
Anna Rita Colasanti, Herbert Franta, L’arte dell’incoraggiamento, Carocci Editore,
Roma, 1991
Sara Fruner, L’istante largo, Bollati Boringhieri, Torino, 2020
Edgar Morin, I ricordi mi vengono incontro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020
Edgar Morin, Di guerra in guerra, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2023
Sacha Naspini, Villa del seminario, Edizioni e/o, Roma, 2023

Partecipa alla discussione