Negli ultimi anni, sta crescendo la sensibilità rispetto ad alcuni temi come l’inclusione che passa anche attraverso il linguaggio. Un tema non semplice di cui si è occupato, con un punto di vista diverso, Andrea De Benedetti. Il suo saggio “Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo” (Einaudi), è stato presentato in videoconferenza il 29 maggio 2023. L’autore ne ha discusso con Valeria Paola Babini. L’incontro è stato promosso da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano, Museo Arti e Mestieri e Comune di Cisterna d’Asti, con Fra production Spa, Israt, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti.
Andrea De Benedetti (1970) dal 1997 al 2006 ha insegnato Lingua e linguistica italiana all’Università di Granada. Ha collaborato con diverse testate italiane tra cui «il manifesto», «GQ» e «D-la Repubblica delle donne». Attualmente insegna lettere in un liceo e collabora con la SSML Vittoria di Torino e con l’Academy della Scuola Holden. Tra le sue pubblicazioni su argomenti linguistici ricordiamo, per Einaudi, il saggio La situazione è grammatica. Perché facciamo errori. Perché è normale farli (2015) e Cosí non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo (2022).
Valeria Paola Babini, già docente di Storia della Psicologia nell’Università di Bologna, si è occupata prevalentemente di psichiatria italiana e francese e di storia delle donne. È autrice di numerose pubblicazioni. Le ultime in ordine di tempo sono Parole armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra resistenza ed emancipazione, La Tartaruga, 2018; la traduzione e curatela di Philippe Tissié, Il caso clinico del viaggiatore sonnambulo, Quodlibet, 2022, Montessori prima di Montessori.1896, la laurea è l’inizio di una rivoluzione, Fefè editore, 2023. Gli alberi già lo sanno, La Tartaruga, 2022, è il suo primo romanzo.
In apertura, Valeria Paola Babini ha espresso la sua gratitudine per la l’arricchimento dovuto alla preparazione dell’incontro. “Ho fatto le mie battaglie per i diritti e sono grata all’autore che dimostra interesse, intelligenza e grande civiltà con cui si esprime pur contrapponendosi all’utilizzo dello schwa. L’originalità del saggio si coglie subito dal titolo che, con la contrapposizione dei termini limite ed eccesso, fa capire che qualcosa non funziona”. Come diceva George Santayana: “Il fanatismo consiste nel raddoppiare gli sforzi quando si è dimenticato l’obiettivo”. Allora, rispetto a questa rivoluzionaria operazione linguistica, qual è l’obiettivo? Con le desinenze si incide sulla popolazione o si vuole dare visibiltà e la dignità di esistenza di persone che non si sentono rappresentate nel binarismo? Oppure è ipocrisia sociale? Come si fa a includere sottolineando la diversità? La critica al binarismo, preso dal femminismo che chiedeva di essere rappresentato con la parola, ha le sue criticità forse. “Da femminista mi irrita essere definita a prescindere. Mi sento di avere un’identità di persona di sesso femminile ed ho una certezza di identità sessuale accettata da me. Il movimento Lgbtqia+ ribadisce lo scollamento tra identità sessuale e identità di genere e, quest’ultima, è fondativa della loro personalità. L’identità sessuale è quello che ti senti e queste sono le battaglie importanti: il rispetto dell’esistente che accetta l’identità sessuale anche senza il cambio fisico del genere. La cosa più importante è la battaglia dei diritti attraverso la legge”.
Il libro, come ha sottolineato De Benedetti, è un piccolo pamphlet dove l’autore ha cercato di mettere ordine su una serie di questioni che sono diventate oggetto di un dibattito che, attualmente, è piuttosto acceso e ruvido. “Si tratta di un’opera agile ma è stato complicato parlare di questi temi, si deve fare molta attenzione a ciò e a come si dice perchè in gioco ci sono tante soggettività diverse che rivendicano un linguaggio meno discriminatorio. La o lo schwa è interessante e già divide. Al maschile, è considerato come un suono e, in effetti, nell’alfabeto fonetico internazionale indica un suono intermedio. Per altri, è una lettera e significa considerare questo simbolo già parte del nostro sistema grafico, forzando la mano affinchè questa adozione si estenda sembra di più. Mi sono dedicato a questo – considerandolo al maschile come suono - per fare sintesi emblematica di tutto il linguaggio inclusivo.” ha detto De Benedetti che nel libro cerca di mostrare che la soluzione dello schwa non può funzionare se l’idea è quella di lasciare che il linguaggio evolva in maniera spontanea. Lo schwa evita il maschile non marcato cioè la forma che, convenzionalmente, usiamo per una pluralità di soggetti che comprendano almeno un individuo maschile e, magari, una prevalenza femminile.
Il fatto che il maschile inclusivo sia discriminatorio, pone dei dubbi. Nelle classi a prevalenza femminile, può sembrare escludente. Però occorre considerare che, in italiano, il genere grammaticale non si associa in modo univoco al sesso o al genere. Infatti abbiamo diverse parole femminili riferite al maschile e femminile (guardia, guida….). Lo stesso capita per il maschile (es.: soprano). Il genere grammaticale è una categoria morfologica che, certamente, distingue il genere ma non sempre. Alcuni lamentano che, quando si deve parlare di una cateogria, si usi il maschile non marcato ma, allo stesso tempo, lo facciamo anche per categorie non lusinghere (i gironi di Dante sono divisi per categorie tutte maschili). “Quindi non è equiparabile per privilegio ma è risultato di stratificazioni della lingua diventato tradizionale senza che sia dimostrabile un’esclusione delle donne. Mi permetto, quindi, di sollevare alcuni dubbi. Sono favorevole alla declinazione femminile dei mestieri ma non lo sono per ragioni ideologiche ma linguistiche perchè queste forme sono coerenti con un sistema che permette che sia possibile declinare questi nomi. In questo caso, la posizione ideologica si rifiuta di utilizzare questa forma come accade con Beatrice Venezi. Io ritengo che la sua posizione sia poco difendibile dal punto di vista linguistico però anche l’utilizzo del femminile non risolve i problemi più profondi. ‘Medica’, ad esempio, non funziona meglio dottoressa altrimenti le donne, pur sensibili al genere, non usano questo termine nonostante siano più numerose in queste professioni. La realtà cambia indipendentemente dalla lingua, non è detto che questa segua lo stesso passo e, nonostante la lingua crei degli ostacoli, in realtà non impedisce che la barriera sia stata abbattuta. Si potrà obiettare che le donne che raggiungono i livelli apicali sono poche ma non è più una questione di responsabilità linguistica” ha detto De Benedetti.
Lo schwa nasce anche per il riconoscimento delle persone non binarie, è un vantaggio e, effettivamente, è suono pronunciabile e può anche essere scritto. Tuttavia, di fatto, nessuno lo pronuncia con disinvoltura senza avvertire un’estraneità in questo suono rispetto alla propria madre lingua. “L’italiano deriva dal latino, in modo semplificato e si è formato in 2000 anni. I generi sono diventati due, non esistono quasi più i casi… Si è semplificato perchè la lingua è uscita dalla letteratura ed è entrata nella bocca dei parlanti adeguandosi alle loro esigenze e diventando più accessibile. Se dovessimo adottare lo schwa in maniera sistematica, sarebbe come invertire la corrente della storia. Torneremmo a un italiano più difficile perchè, aggiungendola nel suono e nella grafia (e dovrebbe avvenire prima nel parlato), ci ritroveremmo con una lingua che non sarebbe più la nostra in quanti, lo dico sia da linguista che da parlante, tutto il sistema delle nostre desinenze sono state acquisite in modo spontaneo quando abbiamo cominciato a parlare. Sono regole apprese nel momento in cui siamo stati esposti a esempi di lingua viva. Nel momento in cui dovessimo ipotizzare, per qualsiasi altro suono, di cambiarne la morfologia, non sarebbe solo fare piccoli cambiamenti ma rendere difficoltoso l’accesso della lingua soprattutto a coloro per i quali è già limitato. Il rischio, di fronte a una soluzione di questo tipo o altre simili, sarebbe un risultato molto più escludente che inclusivo” ha proseguito.
La sensibilità femminile – ha sottolineato la Babini – è andata di pari passo con le conquiste storiche e giuridiche. Il fatto che le donne non fossero considerate l’ ha acutizzata ma, quando si sono ottenuti dei diritti, è andata un po’ scemando. “Oggi – ha detto – il plurale non marcato, per me, è indifferente al binarismo. Il tema dei trans è complicato, potrebbe essere che, avendo i propri diritti civili, non si badi più a tutto questo. Ma chi decidera? A forza di parlarne, lo imponiamo?”.
La questione chiave, a detta di De Benedetti, è proprio questa. “Alla luce del quadro che ho provato a descrivere, mi sembra impossibile o difficile che lo schwa riesca a entrare in uso in maniera spontanea perchè la comunità delle persone che ne sente l’esigenza è ridotta ed è una constatazione non un giudizio di merito. Affinchè si affermi, è necessario che una certa forma si imponga prepotentemente nell’uso ma con questi numeri è impossibile che accada. Può succedere solo con forzature che già vengono praticate come fanno diversi editori che lo hanno adottato, ad esempio, nelle collane saggistiche. Ci sono linee guida anche in aziende private che lo utilizzano non per obbligo ma perchè consigliate. Il mio timore, da persona democratica che mi considero, è che la causa sacrosanta dell’inclusione possa far passare come normali delle forme di abuso dei parlanti autorizzando qualcuno a imporre nuovi codici ai quali, presto o tardi, bisognerà adeguarsi. A me questa cosa preoccupa. Ho a cuore la libertà individuale. Dove poniamo l’asticella della sensibilità? Finchè serve a evitare l’odio, o utilizzare un lessico adeguato va bene ma se arriviamo alla discriminazione rispetto alla morfologia linguistica diventa pericoloso”.
Dal pubblico sono emersi interrogativi, ad esempio su quali parole possono essere date ai non binari. L’autore ha sottolineato di occuparsi del problema esclusivamente dal punto di vista linguistico senza formulare opinioni e dare soluzioni non essendo questo il suo ruolo. Il lessico, però, è in continuo divenire e può essere costruito sempre. In questo modo, tutti possono usare le forme che ritengono opportune per sentirsi rappresentati. “Non voglio vietare lo schwa ma, a mio avviso, occorrerebbe lavorare insieme per trovare delle soluzioni (potrebbero essere dei pronomi molto più semplici da utilizzare anche se, poi, da concordare). Il mio timore, fatto salvo il diritto di ciascun individuo di esprimersi, è l’imposizione. Io, ad esempio, non sono binario in ambito religioso perchè ho vissuto in una famiglia ebraico cattolica e celebro sia le festività ebraiche che quelle cristiane. Non c’è parola per definirmi e devo fare lunghe circonvoluzioni per spiegarmi però, in generale, la lingua, soprattutto la sua morfologia che ha una funzione pratica legata all’ efficienza della comunicazione, non può codificare l’identità. Inoltre, non tutto il fascio della nostra identità trova una forma linguistica che la rappresenti. La lingua è imperfetta. Le parole si possono trovare nell’uso ma, per le desinenze, è più complicato. Mi lascia perplesso se diventa obbligo per tutti i parlanti. Ad esempio, anche i parlanti stranieri non possono parlare di sè. Far rientrare la morfologia nell’ambito dei diritti non credo sia corretto anche se i diritti citati sono sacrosanti”.
Valeria Babini ha sottolineato l’importanza di lavorare sulla sensibilità per includere, ovviamente, anche contro gli stereotipi perchè l’educazione è il punto più importante.
Giovanna Cravanzola