In occasione del 79° Anniversario della Battaglia di Cisterna - S. Stefano Roero, venerdì 1 marzo 2024, Gianni Oliva ha presentato “45 milioni di antifascisti. Il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il ventennio” (Mondadori) al Castello di Cisterna. L’incontro è stato organizzato dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano, Museo e Comune di Cisterna con Fra Spa, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Libreria “Il Pellicano” e Aimc di Asti. Oliva ha discusso del suo ultimo saggio con Federico Fornaro, saggista e politico. Gianni Oliva, docente di Storia delle istituzioni militari, ha dedicato molti studi al periodo 1940-45, tra gli altri, I vinti e i liberati, Foibe, «Si ammazza troppo poco», Soldati e ufficiali, Il tesoro dei vinti, Gli ultimi giorni della Monarchia, La guerra fascista, La bella morte, Il purgatorio dei vinti. È presidente del conservatorio Verdi di Torino. Il titolo del saggio, ha detto Fornaro, prende spunto da una battuta di Churchill. In realtà, cosa avvenne realmente il 25 luglio 1943 perché non si può attribuire tutto solo al trasformismo.
Come ha sottolineato Oliva, il 2 luglio ‘43 rappresenta due cose diverse dove, in un Paese allo sfascio, il re prende le distanze dal fascismo senza farlo, però, dalla guerra. In caso contrario dovrebbe scegliere per una resa incondizionata. Vuole arrivare invece ad un armistizio in modo tale da continuare a essere riconosciuto come re. Però i nostri alleati tedeschi, temendo qualcosa, schierano truppe in tutto il nostro territorio prevedendo l’uscita dell’Italia dalla guerra. Tutto ciò apre la strada al tragico biennio ‘43/’45. In questo frangente, il re non può rischiare di farsi catturare da quello che è diventato il nemico. Pur in considerazione di tutto ciò, per tre giorni dopo la firma dell’armistizio, non viene data alcuna indicazione. Questo è uno degli elementi che determinarono l’esito del referendum del 2 giugno 1946 che spaccò in due il paese disegnando un sud monarchico per non aver conosciuto l’occupazione nazista.
Sul piano culturale, però, quanto accaduto riguardava solo il re, il Duce o anche tutti gli italiani?
Nel dopoguerra segue una grande rimozione e in Italia non ci sarà qualcosa di simile al processo di Norimberga. La Resistenza è utilizzata come alibi per rimuovere quanto è accaduto nel ventennio.
Come ha sottolineato Federico Fornaro, studiando la storia attraverso le date, è chiaro che dal 24 al 26 luglio ‘43 non si può essere passati improvvisamente dal fascismo alla democrazia. Ne è un esempio Umberto Terracini che, scrivendo Benedetto Croce da Ventotene, fa notare che anche se il fascismo è caduto continua a essere segregato sull’isola. Ad agosto verrà poi liberato ma non potrà fare a meno di sottolineare che gli anarchici sono ancora reclusi. In quei 45 giorni del 1943 non si può uscire bianchi o neri ma soltanto grigi punto a capo.
Rispetto al nostro Paese, gli angloamericani hanno idee molto diverse: gli inglesi vogliono una campagna italiana ma gli americani no. Quando il re scappa a Brindisi, la sua sovranità rimane solo su cinque province ma e funzionale agli obiettivi degli americani e degli inglesi di poter interloquire su un’entità statuale al fine di firmare un armistizio. Quello vero è firmato nelle acque prossime a Malta il 29 settembre ‘43 è è chiamato armistizio lungo. Stabilisce che Mussolini sia consegnato agli alleati e certifica la nostra sconfitta. Fin dopo la liberazione si tiene questo segreto. Il libro sottolinea un altro fatto importantissimo perché, per decenni ci hanno raccontato che, alla fine, ci eravamo redenti ma, come ha sottolineato Gianni Oliva, non abbiamo vinto la guerra ma siamo usciti perdenti e con i confini modificati. La tragedia delle foibe inizia proprio per questo motivo. I 45 giorni che seguono questo momento, permettono a burocrati come Azzariti di uscirne indenni. Infatti, in quel momento una classe dirigente nuova e quando cade un regime, in sua assenza, ci sono degli effetti. Ai giorni nostri abbiamo visto le conseguenze di qualcosa di simile, in Iraq, in Libia… dove i regimi sono stati sostituiti da bande armate. In Italia questo è accaduto, ad esempio, con Mani Pulite.
Azzariti nasce da una famiglia di magistrati napoletani A poco a poco, attraversa tutti i governi dell’Italia di liberale fino ad essere presidente del Tribunale della razza dove gli ebrei, per salvarsi, dichiaravano di essere figli illegittimi e quindi ariani. Successivamente, diventa Ministro di Grazia e Giustizia con Palmiro Togliatti che, addirittura, lo nomina suo consigliere politico. Infatti sostiene di aver bisogno di un tecnico fedele e non di un politico. In questo modo, Azzariti che è stato connivente col fascismo, nel dopoguerra continua la sua carriera ed approda al ruolo di presidente della Corte Costituzionale. Questa è solo la punta dell’ iceberg perché la stessa situazione può ascriversi a magistrati, prefetti, questori insegnanti, tutti coloro che avevano dei ruoli nell’impianto fascista. Significativo un episodio, dopo la Strage di Piazza Fontana, vide l’allora Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini, non stringere la mano al questore di Milano Marcello Guida, riconoscendo in lui il capo della polizia nel Penitenziario di Ventotene dove era stato recluso.
Tutto ciò fu figlio di scelte fatte nel momento in cui si apre lo scenario della guerra fredda. Con la vittoria dei sovietici nella battaglia di Stalingrado, si capisce che Hitler ha perso la guerra. Quindi si gioca più su più tavoli perché l’obiettivo è arrivare a Berlino. Si disegnano aree di influenza e, nel dopoguerra, l’Unione Sovietica da alleato si trasforma in nemico. Si attivano reti di intelligence e spionaggio dove vengono inglobate anche quelle appartenenti alle ex dittature. In Italia si acquisisce la X-Mas, in particolare il Battaglione Vega. Tutto ciò in un quadro internazionale che porta l’Italia in una posizione al confine tra due blocchi quello della Nato e quello del Patto di Varsavia. In questo clima, l’operazione di discontinuità diventa impraticabile. Quindi la Guerra Fredda impedisce la resa dei conti ma, secondo Gianni Oliva, non solo perché gli americani vogliono impedire che i Garibaldini abbiano un peso troppo forte al termine della guerra e per il timore di una guerra civile. Hanno bisogno di una classe dirigente nuova ma, non essendo disponibile, utilizzano la vecchia struttura burocratica del fascismo. La classe dirigente politica è quella cattolica con una rete radicata nell’associazionismo dell’azione cattolica. Quando la guerra finisce, occorre far transitare la vecchia classe dirigente in quella nuova. Togliatti, con lucida consapevolezza politica, sa di dover legittimare il suo partito in un nuovo ordine costituito. Purtroppo tutto questo non è stato spiegato e, ancora oggi, non compare chiaramente sui testi scolastici che l’Italia ha perso la guerra. Il fascismo non è stato solo violenza ma consenso attribuito grazie alla formazione e all’informazione, ingredienti di tutti i regimi i liberali nati dopo. Purtroppo il prezzo della sconfitta è stato pagato dagli italiani del Nord ovest.
“La storia è cieca e parlare di questo vuol dire che abbiamo perso la guerra. Però una domanda è indispensabile: perché siamo diventati un paese di fascisti?” ha detto Oliva.
Come ha evidenziato a Fornaro, un episodio fondamentale per comprendere tutto ciò e stato il ritrovamento dell’armadio della vergogna. Ad un certo punto, su quei documenti sono caduti oblio e silenzio non per difesa (coprire quello che avevano fatto i gruppi armati di Tito) ma per non distruggere l’immagine degli italiani brava gente.
“Il saggio di Gianni Oliva e un libro di storia scritto da una penna originale e rivolto a tutti, anche ai non addetti ai lavori” ha concluso Fornaro.
Giovanna Cravanzola