INTERNET CI RENDE PIÙ STUPIDI O PIÙ INTELLIGENTI?
Epistemologia della rete
Nel pomeriggio di sabato 13 ottobre, le sale del Museo Arti e mestieri di un tempo di Cisterna d’Asti hanno ospitato, per la serie di incontri organizzati da CITTATTIVA. Polo per l’Astigiano e l’Albese, volti ad avvicinare la cittadinanza a temi socialmente rilevanti, una conferenza sul ruolo che Internet è venuto ad assumere nella nostra vita quotidiana, analizzandone i risvolti e le implicazioni, tentando di rispondere all’interrogativo che ha dato il titolo alla giornata filosofica.
Le differenti opinioni a confronto sono state guidate da Franco Mattarella, che ha esordito illustrando e spiegando la cosiddetta Piramide della conoscenza: uno schema teorico scelto da grandi aziende e volto a creare software per elaborare enormi quantità di dati.
Tale modello, consultabile sul sito www.pensierocritico.eu, ha codificato il processo della conoscenza come una piramide, costituita da una base ampia di DATI sensibili che fondano le nostre esperienze, i quali, in un processo ascendente, vengono aggregati e contestualizzati producendo l’INFORMAZIONE, subiscono poi l’applicazione e la sperimentazione, generando la CONOSCENZA ed infine, alla sommità della piramide, si giunge alla SAGGEZZA che apre un orizzonte del tutto nuovo, privo di una specifica applicazione.
In alcuni versi del poema The Rock, risalente al 1934, T.S.Eliot scriveva: ”Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo? Dov’è la saggezza che abbiamo perduto nella conoscenza? Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?” e sembrava così immaginare una gerarchia, analoga a quella piramidale, seppur internet e software fossero ancora piuttosto lontani.
La piramide serve da metafora per l’attività cognitiva, sottolineando l’importanza non dei dati o delle informazioni che si ricevono, ma delle trasformazioni che si possono operare su di essi. Basti pensare a quanta differenza intercorra tra la tradizionale enciclopedia cartacea, utilizzata per tante ricerche scolastiche, e quella online, ormai altrettanto nota, Wikipedia; mentre nella prima le fonti sono accreditate, il nome degli studiosi riportato e i contenuti statici, per la seconda accade esattamente il contrario.
Necessaria premessa è stata quella concernente la nozione di memoria; lo psicologo George Miller nel 1956 con un articolo pubblicato sulla Psychological Review ha inaugurato un nuovo filone di discussione introducendo la teoria del “numero magico 7”, secondo la quale ciascuno di noi può memorizzare un numero limitato di oggetti che varia da persona a persona, ma che sperimentalmente è di 7 più o meno 2. In questo modo si sono distinti tre tipi di memoria: quella sensoriale, che si esaurisce in breve tempo, quella di lavoro, della durata di 70 secondi circa, in cui avviene l’integrazione tra il materiale dei sensi e le esperienze già acquisite ed infine la memoria a lungo termine.
Le riflessioni si sono incrementate, poi, seguendo l’analisi di due testi pubblicati nel 2010, uno di Nicholas Carr “Internet ci rende stupidi?” e l’altro di Clay Shirty “Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell’era digitale”. Sono due strutture argomentative diverse, ognuno di noi, in base alle scelte che opera, può abbracciare l’una o l’altra.
Il problema sollevato da Carr parte dalla costatazione che Internet ci consente di accedere ad una mole enorme di informazioni, rendendoci però pensatori superficiali. Attraverso la formulazione di una tesi, secondo cui quando siamo online non siamo in grado di creare connessioni neurali forti ed estese, e di un’antitesi, per la quale la tendenza innata del cervello umano è quella di essere distratto, tanto che i frenetici cambiamenti di prospettiva erano cruciali per la sopravvivenza, viene sviluppata una serie di argomenti, da quello di Kandel, solo quando prestiamo attenzione ad una porzione di informazione riusciamo a collegarla alla conoscenza posseduta, agli esperimenti condotti nelle Università di Cornell e Stanford, fino allo studio di Menzernich sui primati che conclude sostenendo che anche il cervello umano sia modellato dalla fruizione del web, Carr evince che dobbiamo rafforzare i collegamenti neurali per contrastare la nostra istintiva capacità di distrazione.
Shirty, al contrario, afferma che internet rende più intelligenti, partendo dall’ enunciazione del problema: flussi interminabili di mediocrità sul web alimentano previsioni allarmanti di collasso intellettuale. Per spiegare quanto affermato, viene formulata una tesi: l’invenzione della stampa, dei romanzi e delle riviste scientifiche avrebbe aumentato il livello intellettuale della società, e adduce a riprova argomenti che giustificano tale posizione, tra cui quello per il quale grazie alla rete, lettura e scrittura diventano attività caratterizzanti della nostra cultura. Analogamente a Carr, anche Shirty oppone a quanto detto sopra un’antitesi: ogni volta che i media diventano più abbondanti la qualità diminuisce, sostenuta dalla citazione di Martin Lutero, di cui la stampa ha fatto la fortuna, che sostiene che la moltitudine dei libri è un gran male. Le due posizioni trovano una conclusione nella presa di coscienza che i tradizionali veicoli della cultura sono messi all’angolo dalle nuove tecnologie e, parimenti, che sia necessario, per utilizzare bene internet elaborare e fondare, nuove istituzioni culturali.
Marcelloo Furiani ha evidenziato come l’accesso alla rete salvi un gesto, la ricerca della sapienza, ma ne alteri, ne corrompa il senso. Se da un lato lo semplifica, dall’altro lo semplicizza, lo banalizza attraverso un’opera di seduzione, di spettacolarizzazione che cerca la via più breve per raggiungere lo scopo, con il rischio di perdere pezzi importanti. Verrebbe negato un principio basilare dell’estetica quello per cui per raggiungere la nobiltà di un valore occorra compiere un cammino tortuoso. Il senso non risiede più nel sostare su qualcosa ma nell’attraversarlo per andare non si sa dove. Siamo di fronte ad un imbarbarimento, il sacro si sarebbe polverizzato in una miriade di realtà prosaiche.
Nella nostra società, internet è ormai un dato di fatto, con cui non si può fare a meno di confrontarsi, ci sono persone che fanno code di ore e ore per aggiudicarsi il modello di cellulare più tecnologico e, controllare il proprio profilo sui social network è diventata una prassi quotidiana per quasi ogni fascia d’età, il modo per rapportarsi al mondo e per sentirsene parte.
Se il sottotitolo dell’incontro era Epistemologia della rete, ossia la teoria filosofica della conoscenza in generale che passa attraverso il web, non occorre demonizzare per forza un canale d’accesso al sapere in generale, sta a ciascun internauta utilizzare tale mezzo sempre solo come tale e a non dimenticare che oltre una pagina virtuale resta il fascino di quella stampata e oltre un profilo altrettanto virtuale c’è sempre una persona con cui vale la pena confrontarsi e magari abbracciarsi. Elena Cerruti