Giovedì, 13 Dicembre 2012 | Scritto da: didattica

nonnabambina“LA STORIA DELLA NONNA BAMBINA

LA SHOAH RACCONTATA AI BAMBINI”

11^ INCONTRO DEL POLO CITTATTIVA PER L’ASTIGIANO E L’ALBESE PER L’A.S. ‘12/’13

“Vi porto la mia piccola storia che dirà ai ragazzi cosa è successo” con queste semplici parole Susanne Raweh ha aperto l’incontro, organizzato Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese e del Museo Arti e Mestieri di un Tempo, che si è tenuto il 19 dicembre 2012 presso la Scuola Secondaria di Primo Grado “V. Alfieri” di S. Damiano d’Asti.

Susanne Raweh è ormai una stretta collaboratrice del Polo Cittativa per l’Astigiano e l’Albese grazie al contributo di Roberta Arias. Infatti già nel febbraio del 2012 era stata relatrice di un affollatissimo appuntamento presso il Teatrino di Cisterna d’Asti per la presentazione del libro che racconta la sua storia e che, oggi, è finalmente stato tradotto in italiano.

La storia della nonna bambina”, uscito in ebraico a Tel Aviv (Ha-Sippur shel Savtà Yaldà-The Story of Granny-Girl, Shufra for Fine Literature, 2004), è infatti da qualche tempo edito anche in lingua italiana a cura della casa editrice Gilgamesh. Il libro racconta la sua esperienza infantile all’interno di diversi campi di concentramento che si concluderà, fortunatamente, con il ricongiungimento della sua famiglia ma non senza dolore.

Illustrato dalla figlia Dafna, il testo racconta in rima questa triste vicenda con l’intento di conservare la memoria di un periodo orribile della storia ma anche di aprire il cuore alla speranza. Oggi Susanne Raweh vive e lavora in Israele.

Durante l’incontro, introdotto da Roberta Arias, Susanne ha raccontato davvero “da cuore a cuore”, come aveva scritto ai bambini di Cisterna d’Asti, la sua vicenda aggiungendo molti particolari che, ancora di più, hanno avvicinato i presenti alla sua storia. La piccola storia di una bimba gioiosa ed entusiasta della vita che, tutto ad un tratto, rimane travolta con la sua famiglia dai flutti della grande storia. Improvvisamente tutto cambia: le leggi , gli atteggiamenti di coloro che - nella veste di soldati – dovrebbero difendere, i paesaggi… tutto cambia ma non il suo sguardo di bimba con gli occhi spalancati sul mondo. Forse proprio questa fame di vita e di futuro la salva, sicuramente lo fanno la presenza dei suoi genitori ed anche un uomo: il capo del lager, il dottor Grube, un ingegnere incaricato di utilizzare la manodopera schiava per costruire strade e ponti. Un nemico, dunque, si potrebbe pensare. In realtà il dottor Alfred Grube si comporta da giusto e cerca in tutti i modi di salvare più vite possibile. Così, grazie ad una serie di situazioni favorevoli, la piccola Susanne, uscita dal campo, si ritrova con un gruppo di orfani che, dal ghetto di Tulcin, si sta tentando di far arrivare in Palestina. Ancora una volta la sua piccola storia di una bimba si incrocia con la grande storia perché dell’organizzazione di quei trasferimenti si era occupato un prelato che, successivamente, diverrà Papa Giovanni XIII. Non solo: ancora una volta la sua piccola storia non termina perché i genitori, pentiti della loro scelta, mandano una persona fidata a riprenderla e questa circostanza le salva ancora una volta la vita perché la nave dove si trovavano tutti i bambini affonda.

Finalmente nel 1945 la famiglia si riunisce e, dopo alcuni anni trascorsi in Romania, finalmente approda in Israele. Nel corso di tutti questi anni la terribile vicenda viene rimossa dalla memoria della famiglia Raweh come se nulla fosse accaduto ma la loro vita comune non è mai più la stessa perché segnata da questo segreto che pesa come un macigno. Infatti, come ha sottolineato la Raweh, per i superstiti parlare di queste tragiche vicende significava rivivere un trauma terribile. Così le seconde generazioni, spesso, non hanno saputo direttamente dai genitori quanto accaduto subendo a loro volta un trauma per tutto ciò che non era stato narrato ma che si percepiva direttamente da gesti e silenzi. Solo nel 1988, grazie ad un privato olandese, è stato fondata l’Organizzazione Nazionale “Amchà”, il centro israeliano per il supporto psico-sociale dei superstiti della Shoah e delle loro famiglie (alla quale ha anche collaborato la Raweh).

Susanne Raweh, a 46 anni, dopo diversi studi, comprende che è necessario l’aiuto di un terapeuta. Solo allora, per la prima volta, racconta tutto ciò che ancora si ricorda a qualcuno e, come in una spirale, inizia a comprendere meglio le cose. Successivamente, nel 2003, la figlia Dafna le chiede di spiegare la storia della famiglia ai nipotini e, proprio allora, nasce questo libro che non ha lo scopo di parlare di un’unica guerra ma in nome di tutti i bambini che in ogni guerra hanno sofferto per l’ignoranza e la crudeltà degli adulti. Purtroppo la scelta di scrivere in rima per raccontare la Shoah senza nominarla mai, il non crogiolarsi nel dolore e nei dettagli raccapriccianti, è stata criticata da alcuni. Invece proprio in questo sta la forza di questo libro che vuole essere didattico perchè ha lo scopo di mettere i primi mattoni per tentare di spiegare, anche ai più piccoli, quello che è successo attraverso le emozioni di una bambina senza tempo. Infatti la domanda che continua a rimbombare sempre più forte, proprio oggi che stanno scomparendo gli ultimi superstiti rimane: “Perché?”. Purtroppo spesso si crede di rispondere a questa domanda con le commemorazioni del 27 gennaio fatte di retorica e poco più, nell’incapacità, magari, di approfittare quando la storia bussa davvero alla nostra porta venendoci a parlare direttamente nel salotto di casa.

Susanne Raweh ha concluso l’incontro dicendo: “Se questo libro farà qualcosa per qualcuno io sarò la persona più felice del mondo perché il passato non può passare e non si può vivere senza sapere da dove veniamo”.

Un incontro davvero emozionante che si è dimostrato intenso, vero ed ha lasciato davvero molti spunti sui quali riflettere.

Ancora una volta GRAZIE Susanna!!!

Giovanna Cravanzola

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